Mentre i ristoranti ed i bar d’Italia ancora non sanno come e in che orari potranno lavorare nelle festività di fine anno (ad oggi è attesa una decisione che sembra andare verso un’Italia tutta “zona rossa”, con ulteriori restrizioni nei giorni di Natale e Capodanno, ndr), le certezze sono tutte negative, e riguardano le perdite subite dal settore nei mesi scorsi legate alla crisi Covid, e alle misure per contenere i contagi che hanno colpito duramente il settore, nonostante gli sforzi dei ristoratori per adeguarsi alle norme di sicurezza stabilite dal Governo.
Tra giugno e ottobre 2020, un impresa del settore su quattro ha accusato un crollo di oltre il -50% del fatturato. E poco consola sapere che le performance positive registrate in estate, in particolare nelle località di mare, abbiano contribuito a diluire il dato medio, stabilizzandolo a un -35,9% dei fatturati. Ed a preoccupare ancora di più sono le prospettive nerissime per il futuro, come sottolinea l’Ufficio Studi di Fipe/Confcommercio. Secondo l’ultimo report dell’Istat, analizzato da Fipe, infatti, i mesi invernali vedranno un’ulteriore contrazione dei volumi d’affari, con il 34,1% delle imprese che si aspettano fatturati più che dimezzati nel periodo Dicembre 2020 - Febbraio 2021 e, soprattutto, con 1 imprenditore su 10 che ha già previsto un azzeramento totale degli incassi.
“Un disastro annunciato - sottolinea la Fipe/Confcommercio - determinato dal clima di sfiducia che si è venuto a consolidare durante l’autunno quando solamente il 15,1% delle imprese della ristorazione e dell’accoglienza ha potuto restare completamente aperto, lavorando a pieno regime pur in un contesto di generale debolezza dei consumi. La stragrande maggioranza ha invece dovuto fare i conti con una limitazione della propria attività, confinata spesso al solo asporto e ad un po’ di food delivery almeno per chi ha deciso di farlo”.
Ma c’è di peggio. Secondo la fotografia scattata dall’Istat, il 4% delle imprese della ristorazione che ha completamente chiuso i battenti durante l’autunno, non ha alcuna speranza di riaprire. Una percentuale anche 5 volte più alta rispetto ad altre categorie di imprese e professionisti. Un dato che ben fotografa chi è stato davvero a pagare più di altri la crisi da Covid-19. Il conto, secondo le stime già divulgate da Fipe/Confcommercio, potrebbe essere di una perdita intorno ai 40 miliardi di euro nel 2020, a fronte di un giro di affari di 86 miliardi nel 2019. Stima che potrebbe anche aggravarsi, visto che solo in dicembre, per la ristorazione, vale 7,9 miliardi di euro, e i soli pranzi di Natale e Capodanno 720 milioni di euro.
“Noi vogliamo lavorare, ma se il Governo dovesse decidere di seguire il modello tedesco (la Germania da oggi torna in lockdown totale, ndr), si prepari a farlo al 100%. Per ammortizzare queste perdite, occorrono misure come quelle adottate in Germania: ristoro al 75% dei fatturati calcolato sui mesi di Novembre e Dicembre, riduzione dell’Iva al 5% e tutela dagli sfratti”, aveva detto nei giorni scorsi la Fipe. In ogni caso, si tratta di una perdita enorme che, come abbiamo ripetuto spesso in questi lunghi mesi, si ripercuote su tutta la filiera, e in particolare sui prodotti di maggior qualità e del grande artigianato del cibo e del vino, che nella ristorazione e nei consumi fuori casa hanno uno sbocco primario e naturale.
Solo per il vino, Federvini prevede crolli del giro d’affari nel fuori casa del -87% nel solo mese di Dicembre 2020, e del -39% a fine anno. Al bilancio negativo, concorrono anche i 17,5 miliardi di euro di spesa per la tavola che mancheranno per il crollo del turismo, con l’assenza praticamente totale dei turisti stranieri e il forte calo di quelli italiani, con il taglio dei consumi in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per l’acquisto di cibo di strada e souvenir delle vacanze. A sottolinearlo la Coldiretti, analizzando gli effetti della crisi pandemica evidenziati da Isnart-Unioncamere che stima per il 2020 una perdita complessiva nel settore turistico di 53 miliardi di euro rispetto al 2019.
“Il cibo in Italia ha battuto l’alloggio ed è diventato la voce principale del budget delle famiglie italiane e straniere in vacanza, per un importo complessivo che - rileva Coldiretti - nel 2020 è sceso del 58%, il minimo da almeno un decennio soprattutto per la mancanza di stranieri. Un’assenza che ha pesato duramente sui 360mila bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie e trattorie presenti in Italia, costretti anche alla chiusura e alla limitazione dell’attività anche per Natale. Gli effetti delle difficoltà delle attività di ristorazion si fanno sentire a cascata sull’intera filiera agroalimentare con disdette di ordini per le forniture di molti prodotti agroalimentari, dal vino all’olio, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione - precisa la Coldiretti - rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato”.“Il cibo - conclude la Coldiretti - è diventato il vero valore aggiunto della vacanza made in Italy con l’Italia che è leader mondiale incontrastato nel turismo enogastronomico grazie al primato dell’agricoltura più green d’Europa con 311 specialità Dop/Igp e Stg riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60.000 aziende agricole biologiche, la decisione di non coltivare Organismi Geneticamente Modificati (Ogm), 40.000 aziende agricole impegnare nel custodire semi o piante a rischio di estinzione e il primato della sicurezza alimentare mondiale”.
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