Né macchinari né diserbanti, ma animali al pascolo tra i vigneti, per gestire e radere l’erba, ma anche per migliorare la salute del terreno. Una pratica antica e propria di un’agricoltura che non era specializzata, ed oggi “di nicchia”, ma pian piano sempre più diffusa tra le cantine del Belpaese, dal Nord al Sud. Con i vigneti “pascolati” che raccontano anche di una natura che, mescolata alla sapienza di pastori e agricoltori, si riprende la scena e mostra tutta la sua bellezza, con gli animali capaci di ripulire perfettamente i filari brucando l’erba, in modo sostenibile, “economico” e silenzioso, senza sprechi, migliorando il terreno, concimando, favorendo il recupero di sostanze nutrienti, e mantenendo la biodiversità. Si punta soprattutto sulle pecore, come fa una delle piccole ma bellissime realtà dei Colli Berici, PuntoZero (iscritta ai vignaioli Fivi), condotta da Marcella Toffano De’ Besi (l’enologo è Celestino Gaspari, ndr), dove proprio in questi giorni le pecore sono al pascolo. Ma tanti sono gli esempi possibili, come quello della cantina Bepi Boret sulla collina del Cartizze, summa del Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene, o quello della Tenuta Le Querce, nel Vulture, in Basilicata, o ancora quello di Cottanera sull’Etna, in Sicilia. E non mancano esperienze diverse, come il “progetto Buoi” di Alois Lageder, firma tra le più celebri del vino dell’Alto Adige, che, tra i suoi filari, pascola e alleva bovini altoatesini, o ancora la storia delle oche in vigna tra i filari del Sagrantino di Montefalco della cantina Di Filippo, o tra le vigne della cantina sarda Olianas, o ancora nel Chianti Classico, con Casa Emma, solo per citare alcuni esempi.
“Quella del pascolo nei vigneti è una pratica utile sia per le aziende vitivinicole che per i pastori, anche se ci sono differenze di gestione tra le aziende biologiche e biodinamiche e quelle convenzionali. Chiaramente nelle prime è più semplice, mentre in quelle convenzionali si può farlo soltanto nel periodo che non si fanno trattamenti” spiega, a WineNews, Leonardo Valenti, docente di viticoltura all’Università di Milano. “Nelle aziende agricole di un tempo era normale avere animali da cortile in vigna, come le oche o le galline, con le prime che mangiavano l’erba e la radevano in maniera perfetta, e le seconde che mangiavano anche tutti gli insetti che riuscivano a trovare, e in qualche caso succede ancora. Oggi le cose sono cambiate, con l’agricoltura specializzata, ma la pratica del pascolamento dei vigneti resta utile. Si utilizzano soprattutto le pecore, perchè sono animali che brucano nel rispetto della pianta, al contrario delle capre, per esempio, che mangiano spesso anche corteccia o radici e possono danneggiare la vite. In ogni caso, è una situazione vantaggiosa sia per il viticoltore, che si trova la vigna perfettamente mantenuta e pulita dal punto di vista della gestione dell’erba, e per il pastore, che, nella vigna, trova erba di qualità per alimentare le proprie greggi per produrre latte e formaggio. È chiaro che gli animali vanno controllati e guidati, sia per evitare che facciano danni, ma soprattutto per procedere in maniera organica, per appezzamenti, senza lasciare “buchi”, come del resto si farebbe tagliando l’erba con i macchinari. Ovviamente è una pratica che si può fare quando il ciclo vegetativo della vite è ancora fermo, sia perchè non ci sono trattamenti in vigna, sia perchè non ci sono gemme che altrimenti gli animali potrebbero mangiare con danni evidenti. Quindi diciamo dalla fine dell’autunno alla fine dell’inverno”.
Una storia, come tante ce ne sono nel vino, che dice di come il presente ed il futuro dell’agricoltura passino, talvolta, anche dal recupero o dal mantenimento di pratiche antiche.
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