All’enoturismo italiano serviranno almeno due anni per rivedere i numeri 2019, quando, secondo il Rapporto Nazionale sul Turismo del Vino delle Città del Vino le cantine del Belpaese accolsero più di 15 milioni di wine lover, per un fatturato complessivo superiore ai 2,65 miliardi di euro. Poi, la pandemia, che ha precipitato il mondo nella paura, nelle chiusure e nella crisi economica, che ha colpito prima di tutto il turismo, quindi i consumi, anche quelli di vino. Tanto che, per il Rapporto 2020, le Città del Vino hanno preferito un approccio diverso: inutile analizzare numeri irrisori e parziali, legati quasi esclusivamente alla scorsa estate, meglio cercare di capire, attraverso un’analisi puntuale, le prospettive del settore per il futuro prossimo. Coinvolgendo un centinaio di attori della filiera dell’enoturismo, dalle associazioni di categoria alle amministrazioni locali, passando per i Consorzi di tutela delle più importanti denominazioni del Paese.
Il risultato, è che secondo il 46% dei protagonisti dell’enoturismo, le cose torneranno alla normalità nel giro di due anni, più ottimista (un anno) un altro 32%, mentre per il 12% ci vorranno addirittura tre anni. Enorme convergenza, invece, su un altro aspetto fondamentale, ossia su quale debba essere la a principale misura che sarebbe più opportuno adottare per il rilancio del turismo del vino in Italia: per il 74% ci vuole un piano straordinario di promozione del turismo del vino, mentre secondo il 13% la soluzione migliore sarebbero fondi a sostegno delle aziende vitivinicole. Altro punto interessante riguarda, dal punto di vista del governo del territorio, quale possa essere il fattore chiave su cui insistere per il rilancio del turismo del vino: l’accessibilità, in termini di parcheggi, strade, servizi per i disabili, è in cima ai pensieri del 44% degli stakeholder del settore, seguita da tutela del paesaggio rurale (27%) e programmazione e gestione della sostenibilità (13%).
Per quanto riguarda gli effetti del Covid-19 sul mondo del turismo del vino, soltanto per il 21% ritornerà tutto com’era prima della pandemia, mentre per il 46% i cambiamenti ci sono stati, ma tutto sommato contenuti, con un altro 32% che pensa invece che i cambiamenti sono più rilevanti. In questo senso, la principale caratteristica del nuovo turismo del vino è che sarà molto più all’aperto di prima (più vigna che cantina), per il 46% degli intervistati, più riservato (ossia in piccoli gruppi, 26%) e di prossimità, quindi con più escursionisti che turisti (14%). I punti di forza dell’enoturismo italiano, su cui insistere con enfasi per il rilancio post Covid-19, sono invece la ricchezza enogastronomica del Paese (26%), il contesto storico-artistico-culturale (26%), le varietà dei territori da visitare (25%) e la biodiversità dei vitigni e conseguentemente dei vini (14%). Ci sono, però, anche dei punti di debolezza che limitano l’enoturismo italiano, che proprio l’emergenza da Covid-19 dovrebbe spingere a superare, su tutti carenza dei servizi di accoglienza (31%), esperienza di visita spesso uguale, non originale o meglio ancora “memorabile” (30%) e limitata conoscenza di altre lingue straniere oltre l’inglese (11%).
Grande convergenza sulla Regione italiana (diversa da quella di “appartenenza”) maggiormente attrattiva per l’enoturista italiano: stravince la Toscana (53%), davanti a Piemonte (18%), Sicilia (6%) e Veneto (6%). I motivi sono molti, dal contesto storico, artistico e culturale (29%) all’adeguatezza dei servizi di accoglienza (18%), dalla complessiva ricchezza enogastronomica (12%) alla varietà dei territori da visitare (12%), dalla biodiversità dei vitigni e conseguentemente dei vini (11%) alla presenza di luoghi di particolare attrazione turistica in generale (8%). Il quadro è persino più polarizzante quando la stessa domanda la si riferisce ai turisti del vino stranieri: in questo caso, la Toscana raggiunge il 60% delle preferenze, con la Sicilia ed il Piemonte al 9% e l’Umbria al 5%. In questo contesto, assume ancora maggiore rilevanza il contesto storico-artistico-culturale (42%), seguito dall’adeguatezza dei servizi di accoglienza (22%), segno che il wine lover straniero ha esigenze e motivazioni ben diverse da quello italiano.
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