L’Italia è tra i Paesi che contribuiscono maggiormente all’invecchiamento della popolazione europea, e nelle aree rurali il numero dei giovani si è quasi dimezzato negli ultimi 10 anni, ponendo a rischio la tenuta demografica e socio-economica di interi territori, con gravi conseguenze anche sotto il profilo ambientale. È da queste premesse, assai poco rassicuranti, che prende le mosse l’analisi Ismea, presentata oggi a Terra Madre - Salone del Gusto di Slow Food (da ieri al 26 settembre a Torino), nella conferenza “Generazione Terra: valore, cibo e ambiente. Il ruolo dei giovani nella filiera agroalimentare italiana”, con la presidente Slow Food Italia, Barbara Nappini, il responsabile servizio statistiche e indicatori sull’agricoltura Istat Roberto Gismondi ed i rappres Ismea Fabio Del Bravo e Giorgio Venceslai (nei prossimi giorni, le interviste a WineNews).
Il quadro demografico generale è allarmante, e l’esistenza di divari sulla dotazione di infrastrutture e i servizi non favorisce la permanenza dei giovani nelle aree rurali. Più rassicuranti sono i dati sulle imprese a conduzione giovanile in agricoltura che, seppur di poco, crescono di numero nel quinquennio, in controtendenza rispetto al resto dell’economia e alla progressiva riduzione del numero di aziende agricole nel complesso. Le aziende condotte da giovani presentano un grado maggiore di competitività, produttività, propensione all’innovazione e orientamento al mercato. In base ai dati del Registro delle imprese, dal 2017 ad oggi sono nate ogni giorno per mano di giovani fino a 35 anni di età 21 nuove aziende agricole, mentre 5 hanno chiuso i battenti, rendendo il saldo tra iscrizioni e cessazioni attivo per oltre 6.000 aziende nella media del quinquennio. Per effetto di queste dinamiche il numero di imprese agricole condotte dalle nuove generazioni risulta, a fine 2021, di 56.172, con una crescita dello 0,4% all’anno negli ultimi 5 anni. Nello stesso periodo il numero complessivo delle aziende agricole si è ridotto al ritmo dello 0,7% all’anno e quello delle aziende “giovanili” dell’intera economia addirittura del 2,4%, corrispondente alla scomparsa di oltre 70.000 imprese nel periodo osservato.
I dati dell’ultimo Censimento dell’Istat mettono in evidenza alcune peculiarità dei giovani agricoltori che fanno impresa, confermando la stretta correlazione che c’è tra le nuove generazioni e una maggiore competitività, capacità di innovare, di fare rete, di diversificare le fonti di reddito e produrre valore nel territorio. Mediamente i giovani sono più formati (49,7% dei capi azienda giovani ha un diploma di scuola superiore e il 19,4% una laurea), le aziende da loro condotte sono più grandi (18,3 ettari di SAU per azienda contro 10,7), più orientate al mercato e il loro livello di digitalizzazione è il doppio dell’agricoltura nel complesso, così come più elevata risulta la propensione all’innovazione (il 24,4% dei giovani ha realizzato almeno un investimento innovativo nel triennio 2018-2020, a fronte del 9,7% dei non giovani).
I giovani sono poi in prima linea anche nel modello di agricoltura multifunzionale, che sta cambiando la percezione del settore primario italiano, spesso con importanti ricadute sull’ambiente e sulla collettività, come nel caso della produzione di energie rinnovabili o dell’agricoltura sociale. Il giovane agricoltore, da semplice produttore di derrate alimentari, diventa creatore di servizi e generatore di valore per il territorio rurale, attraverso esempi di successo come gli agriturismi, le attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti, le fattorie didattiche, gli agriasili, e infatti l’incidenza dei giovani nelle aziende con attività connesse sale al 19%.
Questa capacità di creare valore e svolgere funzioni diverse dei giovani incontra un terreno fertile in termini di opportunità di sviluppo e mantenimento delle imprese nelle aree del territorio - ampiamente diffuse nelle province italiane - caratterizzate da eccellenze e peculiarità dei prodotti agroalimentari e da fattori storici, culturali e ambientali, a cui fa da contraltare il dinamismo e l’attivismo delle amministrazioni locali e degli operatori pubblici e privati per la loro valorizzazione attraverso certificazioni, marchi e riconoscimenti in ambito agroalimentare come in ambito turistico e ambientale.
“I giovani che scelgono l’agricoltura sono - ha commentato la presidente Slow Food Italia, Barbara Nappini - in gran parte laureati, hanno viaggiato all’estero, usano il web e la tecnologia. Nelle loro imprese, oltre alla coltivazione, sviluppano attività di trasformazione dei prodotti e vendita diretta, fattorie didattiche e agricoltura sociale per l’inserimento di persone svantaggiate. Sono attenti all’ambiente, impegnati nella lotta alla crisi climatica, credono nei valori di un’agricoltura sostenibile. Anima della transizione ecologica, sono loro la generazione a cui guardare per declinare le politiche agricole del futuro: con lungimiranza e coraggio, le generazioni attuali hanno compreso e accolto in prima persona l’urgenza delle crisi - climatica, ambientale e sociale - che viviamo. L’agricoltura per loro - e anche per Slow Food - è un progetto culturale, una scelta consapevole: significa diventare artefici piuttosto che consumatori di senso”.
“Il censimento delle aziende agricole riferito al 2020, condotto nel 2021 ed i cui primi risultati sono stati diffusi a giugno 2022, ha indicato - ha sottolineato Roberto Gismondi (Istat) - con chiarezza che l’agricoltura italiana si sta orientando verso un modello gestionale più moderno rispetto al passato. Meno aziende agricole ma più grandi, meno terreni di proprietà, più multifunzionalità; ma anche persistenti gap rispetto agli altri settori economici: ritardo nella digitalizzazione, formazione professionale del capo azienda ancora non del tutto adeguata, forti discrepanze territoriali. In tale contesto, dinamico e ricco di contrasti, il ruolo del capo azienda “giovane” (fino a 40 anni) non decolla: rispetto al 2010, nel 2020 la percentuale di aziende agricole con capo azienda giovane è scesa dall’11,5% al 9,3%. Si tratta di una tendenza coerente con quanto si sta verificando negli altri settori economici, che dipende anche dalla maggiore attrattività di altre forme di impiego e dalla fuga verso l’estero. Tuttavia, una lettura più approfondita degli esiti censuari evidenzia che i capo azienda giovani tendono a guidare particolari tipologie di aziende, ancora non numerosissime, ma fortemente caratterizzate da alcuni fattori identificativi. Sono prevalentemente aziende più grandi della media, con terreni in affitto (e non di proprietà), con almeno un’attività connessa, molto propense verso la pratica biologica e verso la commercializzazione dei prodotti aziendali, estremamente innovative e digitalizzate. Inoltre, il capo azienda giovane ha un titolo di studio più elevato della media (solo un capo azienda giovane su cinque non va oltre la licenza elementare, rispetto ai tre su cinque tra i capo azienda over 40) ed ha una maggiore propensione a frequentare corsi di aggiornamento”.
“Il coinvolgimento dei giovani nel settore agricolo è - ha evidenziato, invece, Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale dell’Ismea - un obiettivo della politica agricola comune europea e una sfida per l’Italia. Una maggiore presenza di giovani è necessaria per accelerare e concretizzare il rinnovamento di cui necessita il settore agricolo per essere più competitivo, sia rispetto alle altre agricolture europee sia rispetto agli altri settori economici riducendo il divario di redditività che lo contraddistingue, sia per essere in grado di affrontare le sfide ambientali e assicurare il contributo all’adattamento e della mitigazione dei cambiamenti climatici. Il ricco ecosistema di produzioni certificate, presidi e riconoscimenti territoriali, attrattori ricreativi e culturali, oltre a creare occupazione di qualità, può rappresentare una reale opportunità per dispiegare tutte le potenzialità del modello di agricoltura italiano in cui le attività secondarie e quelle di supporto rappresentano ormai più di un quinto del valore della produzione e basato sulla distintività e la conseguente maggiore creazione di valore”.
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