Più di 520 milioni di euro nel 2021 - secondo i dati Istat analizzati da WineNews - è il valore dell’export del vino italiano in Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia. Un dato che ne racconta l’importanza, a fronte di un accesso che - Danimarca a parte - è fortemente influenzato dai Monopoli di Stato. Al “Wine2Wine” by Veronafiere, l’incontro con quattro importatori provenienti dai quattro Paesi nord europei ha fatto una panoramica di questi mercati, grazie agli stimoli dati dalla scrittrice freelance Åsa Johansson, che collabora con diverse testate italiane ed estere.
La riscossa dei vini italiani è cominciata nel Paese più a sud del Nord Europa, la Danimarca, dove assenza di monopolio e consumo pro capite di ben 48 litri all’anno rappresentano una grande opportunità per i vini italiani che “sono molto sexy”, come ha sottolineato Per Buhl, CEO di Laudrup Vin, che vende in tutti i canali non solo in Danimarca, ma anche in Svezia e Isole Faroe. “Se in passato i vini di Cile e Francia la facevano da padrone, negli ultimi anni quelli italiani sono cresciuti, anche se in valore quelli francesi sono ancora al primo posto. Purtroppo, però, per la maggior parte si tratta di vini in bag in box e sfusi, destinati alla Gdo, dove si vende il 92% del vino, ad un prezzo medio di circa 7 euro a bottiglia. E poi ci sono 5.000 importatori privati che spesso vengono direttamente a comprare il vino in Italia”. Nell’Horeca i vini più forti sono Barolo, Barbaresco e Brunello, mentre i vini della Valpolicella - comprati sfusi e imbottigliati in loco - vengono venduti in maggioranza negli altri canali. Per il futuro Buhl prevede una crescita dei bianchi dell’Alto Adige e in generale dei vini di alta collina, dal Piemonte alla Toscana fino alla Lombardia. “Argomenti che attraggono l’attenzione in Danimarca - ha suggerito Buhl - sono il passaggio generazionale nelle aziende, le tecniche innovative nella vinificazione e la sostenibilità purché sia certificata”.
Per la Norvegia, dove è il Vinmonopolet a decidere cosa comprare, Marius Odland, portfolio manager di Nordic Wine, Beer & Spirits e responsabile delle gare d’appalto del monopolio, ha sottolineato che per accedere al mercato norvegese è necessario avere un importatore, sia nel caso si voglia partecipare ai bandi di gara del monopolio, molto specifici circa le caratteristiche dei vini, sia nel caso si intenda entrare per altri canali. “Noi importatori - ha spiegato Marius Odland - possiamo supportare i produttori nella scelta dei vini che rispondono al profilo richiesto dai bandi, ma in particolare possiamo importare direttamente i vini per portarli in degustazione alle wine fair organizzate dagli importatori (oltre 100 all’anno, ndr), in cui lo staff dei negozi locali del monopolio può degustarli ed eventualmente sceglierli per un massimo del 20% del proprio assortimento”. Il vino italiano in Norvegia va bene, è il più venduto, con in testa Piemonte, Veneto e Toscana. La tendenza è a preferire vini secchi, più fruttati e freschi, facili da bere e da abbinare”.
Un parallelismo si può fare con i “grandi bandi di gara”, quelli “esclusivi” del monopolio della Svezia, il Systembolaget, che “presentano grandi rischi - a detta di Margareta Lundeber, fondatrice Handpicked Wines, compagnia di wine import ben consolidata nel Paese - perché non garantiscono continuità di presenza dei vini che, peraltro, sono in quel contesto sempre soggetti ad essere paragonati con altri vini e quindi passibili di essere de-listati e quindi di rimanere invenduti, lasciando sul mercato quantitativi importanti di bottiglie. In alternativa, si può lavorare con il bandi “temporanei”, adatti ad aziende di piccole e medie dimensioni, che non richiedono campioni e si riferiscono a numeri di bottiglie inferiori, per etichette messe in vendita nella ristorazione e in liste più stabili”.
Il vino italiano in Svezia ha una quota di mercato del 25% di cui il 40% è rosso. “Per trovare i vini da importare ascolto molto il “passaparola” e poi lavoro fissando appuntamenti alle fiere, anche se sono meno utili che in passato. Vedo margini di crescita per i vini di Basilicata, Friuli e Alto Adige, come per i vini “naturali”. Le preferenze - ha concluso Margareta Lundeber - si stanno spostando su vini fruttati e minerali. Quelli da uve appassite sono in calo. Ritengo che i vini bianchi italiani potrebbero rappresentare la prossima tendenza tra i sommelier e i ristoratori”.
La Finlandia - in cui le bevande alcoliche sono gestite in regime di monopolio dalle società Alko OY e Altia Group OY - è il Paese più piccolo della Scandinavia, dove a farla da padrone sono birra e vodka, quindi terreno minato per il vino, che però lentamente sta prendendo piede. “Il vino è in ascesa nella ristorazione, in cui crescerà ulteriormente durante le festività natalizie, e nell’e-commerce”, ha spiegato Nina Witikka, che si occupa di vendite, importazione, marketing e sviluppo dei prodotti vinicoli, collaborando con il monopolio e come wine director di Wineworld Finland Oy, azienda indipendente nella business unit vino del Gruppo Anora. “E poi ci sono i viaggi in altri Paesi, come l’Estonia, per acquistarlo dove costa meno. Noi non siamo bravi a vincere i bandi, ma a cercare i vini sì: dal 2016 facciamo campagne su Internet. I vini bianchi italiani hanno avuto un boom prima del Covid, come pure il Prosecco che ha il “vantaggio” di non essere “solo” un vino, ma un easy-drink, una bevanda che in Finlandia può essere assimilata al sidro o alla birra. Il Prosecco si è fatto strada sui social tra i giovani che seguono influencer di altri Paesi, perché i nostri sono noiosi. Anche i vini rosé sono esplosi, ma in questo segmento, purtroppo, l’Italia non presidia il mercato. I vini in bag-in-box sono in ascesa perché pratici in situazioni particolari, come in barca, così come il tetrapack che permette di non far capire ai vicini dai vuoti delle bottiglie quanto si beve. E poi vanno molto anche le bottiglie in PET in cui siamo stati precursori”.
Il Nord Europa è storicamente attento al bio e alla sostenibilità, ma in ognuno dei Paesi con sfumature diverse. In Danimarca l’attenzione riservata ai vini bio e alla sostenibilità si differenzia per canale: è molto importante nella Gdo e nella vendita on line, mentre nella ristorazione non viene messa in risalto. In Norvegia la certificazione di sostenibilità interessa poco ai consumatori e sono gli importatori ad essere concentrati su questo aspetto. In Svezia, oltre ai vini bio, per il vino italiano stanno prendendo piede le etichette certificate Viva ed Equalitas, quest’ultima in particolare perché ampliata a più parametri su cui il Systembolaget si concentra. La Finlandia non fa eccezione e riserva grande attenzione ai vini certificati, che riportano in etichetta i “bollini” verdi, e punta ad azzerare le emissioni entro il 2030.
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