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DIBATTITO

Montalcino, niente zonazione: la strada è quella dei “Vigna”. Ma non convince tutti

Barolo, Barbaresco e Chianti Classico hanno puntato sulla chiarezza, il Brunello rifugge il modello delle sottozone: il pensiero di Monica Larner

Nel racconto dei grandi territori del vino, gli appassionati e gli esperti di tutto il mondo mostrano la necessità costante di avere informazioni sempre più approfondite e specifiche, che definiscano le unicità e le differenze, non solo e non tanto tra le diverse aziende, quanto tra i diversi areali ed i vini che qui vengono prodotti. È un’esigenza cui il Barolo ed il Barbaresco, per primi, hanno risposto con le Mga, o Menzioni Geografiche Aggiuntive, ossia le diverse sottozone che - dopo anni di studi su terreni, esposizioni, altimetrie, microclimi - sono riuscite a rappresentare al meglio la straordinaria diversità dei territori di produzione delle due grandi declinazioni di Nebbiolo del Piemonte. Più di recente, e sempre sotto la guida del cartografo Alessandro Masnaghetti, vera autorità nel campo, anche il Chianti Classico ha intrapreso una strada simile, arrivando a definire areali un po’ più grandi, denominati Uga, o Unità Geografiche Aggiuntive.

Il tema, ciclicamente, torna ad affacciarsi anche tra le colline di Montalcino, dove, però, la zonazione pare non scaldare granché. Eppure, come ricorda Monica Larner, la firma italiana di “Robert Parker Wine Advocate”, nell’ultimo numero del magazine uscito in questi giorni, che al Brunello di Montalcino ha dedicato un lungo report (oltre ai rating dei vini dell’annata 2018 ed altri tasting), “molti di noi della stampa sostengono che un tale sistema (la creazione di sottozone, ndr) è il modo migliore per identificare un territorio vitivinicolo poliedrico, in maniera approfondita e dettagliata. Montalcino ha invece optato per una risposta più rapida e immediata alla sfida. Piuttosto che abbracciare un progetto di mappatura a livello di denominazione, che richiederebbe anni di studio e ricerca per essere completato, si è deciso di adottare la “Vigna”, o vigneto, da presentare in etichetta”.

Ogni tenuta - scrive ancora Monica Larner - valorizza il territorio creando e investendo nelle proprie parcelle migliori, identificate come “Vigna”. Un vigneto destinato a questo scopo, o prende il nome da un sito geografico (toponimo), o decide di optare per un nome di fantasia, scelto dal produttore: per esempio, Giacomo Neri ha registrato una delle sue ultime acquisizioni di vigneti come “Giovanni Neri”, prendendo in prestito il nome del suo defunto padre. Man mano che il sistema “Vigna” cresce, i consumatori dovrebbero essere in grado di identificare le caratteristiche singolari di ciascun sito, ed effettuare di conseguenza scelte di acquisto in base alle proprie preferenze personali”, continua la firma italiana di “Robert Parker Wine Advocate”.

Ad ogni modo, il sistema Vigna sta muovendo i suoi primi passi, e ha bisogno di tempo per essere completamente valorizzato e integrato meglio in un modello più ampio in tutta la denominazione. La mia preoccupazione immediata - conclude Monica Larner - è che “Vigna” sia anche una conveniente scelta commerciale. Non posso fare a meno di notare che i vini “Brunello Vigna” sono molto più costosi dei Brunello non designati dal vigneto, ma non sono così convinta che i “Vigna” meritino sempre un prezzo più alto”.

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