In “The Martian”, il film del 2015 di Ridley Scott, Matt Damon è un botanico ritrovatosi su Marte, dove è stato abbandonato dal resto del suo equipaggio, che lo ha creduto morto. Sul Pianeta Rosso, per sopravvivere, dovrà affidarsi a tutto il suo ingegno, e ad una gestione oculata delle scarse risorse a disposizione. A partire ovviamente dall’acqua, centellinata, con cui Mark Watney - il personaggio interpretato da Matt Damon - riesce nell’impresa di coltivare delle patate. Nel film, come nel libro da cui è tratto (“L’uomo di Marte”, di Andy Weir), è uno dei momenti più emozionanti, e in fin dei conti piuttosto credibile: terra e semi, infatti, erano stati portati su Marte dalla Terra.
Nella realtà, Marte è ancora troppo distante per l’uomo, ma l’ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), ha ospitato e continuerà ad ospitare molti esperimenti sull’agricoltura nello spazio. Volti sia a capire le reali possibilità di una colonizzazione umana della Luna e, un giorno, proprio di Marte, sia per testare le capacità evolutive delle piante in condizioni diverse da quelle terrestri. Magari, trovando soluzioni interessanti, ed impensate sulla terraferma, ai problemi quotidiani, vissuti anche, se non soprattutto, dalla viticoltura, che deve fare i conti con gli effetti del riscaldamento globale e della siccità. E deve farlo, per forza di cose, nel rispetto dell’ambiente e del territorio.
Così distanti, spazio e viticoltura si incontrano, curiosamente, tra i filari di una delle aziende di riferimento del Brunello di Montalcino, Col d’Orcia, 144 ettari vitati tutti a conduzione biologica, certificati dal 2013 al culmine di un percorso iniziato nel 2008. Svolta necessaria, e logica, per una griffe, guidata oggi dal conte Francesco Marone Cinzano, da sempre attenta al rapporto con il territorio. Sin dal 1973, ossia agli albori, l’idea che la vite dovesse vivere in armonia ed equilibrio con le altre colture, dal bosco ai semina, dall’ulivo al tabacco, era ben chiara. Oggi, la gestione del vigneto di Tenuta Col d’Orcia non solo segue i dettami del biologico, ma gli affianca pratiche della biodinamica. Senza però rinunciare alla ricerca e all’innovazione. Con uno sguardo aperto ad ogni soluzione percorribile, sempre nel solco della biodiversità e della sua difesa.
Così, nel preparato biodinamico del compost usato in vigna, hanno fatto la sua comparsa gli zeoliti, una famiglia di minerali (in natura ne esistono 46 tipi) con una struttura cristallina molto aperta e canali interconnessi che, semplificando molto, gli danno la forma di una spugna. Hanno qualità idroponiche molto speciali, ed infatti possono trattenere l’umidità e l’acqua durante l’inverno e rilasciarla quando le temperature si alzano, in estate, migliorando così la capacità di ritenzione idrica del suolo e combattendo la siccità. Una soluzione assolutamente pulita al cambiamento climatico, figlia proprio della sperimentazione nello spazio. Gli zeoliti, infatti, sono anche la risposta della Nasa ad uno dei problemi di più difficile soluzione riscontrati nelle missioni spaziali: gestire la CO2 emessa dalla respirazione degli astronauti, fatale nell’incidente dell’Apollo 13 nel 1970.
Gli zeoliti, in questo senso, catturano le molecole di CO2 e le immagazzinano, usando come unica variabile la temperatura: per rilasciar la CO2 nello spazio, infatti, basta scaldare gli zeoliti. Un sistema di filtraggio che potrebbe avere delle applicazioni anche sulla terraferma, risolvendo, o quantomeno aiutando a risolvere, il problema drammatico delle emissioni di CO2 in atmosfera. Tornando alle loro peculiarità idroponiche, inoltre, gli zeoliti sono anche al centro di alcuni esperimenti sulla ISS dedicati alla coltivazione delle piante nello spazio, in substrati a base appunto di zeolite, per minimizzare il bisogno di acqua.
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