Sale a 120 miliardi di euro il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo, anche sulla spinta della strana “alleanza” tra Russia e Usa che, divisi dalla guerra in Ucraina, si classificano rispettivamente come il Paese dove le produzioni tricolore taroccate sono cresciute di più nell’ultimo anno e quello in cui si registrano i più elevati fatturati: è l’allarme, lanciato da Coldiretti, a Tuttofood (Milano, 8-11 maggio), dove è stato presentato il primo expo della top 10 del made in Italy taroccato a tavola, con la classifica delle più grottesche imitazioni delle specialità nazionali scovate in tutto il mondo che tolgono spazio e valore sui mercati ai veri prodotti tricolori.
La vera novità è rappresentata oggi, spiega Coldiretti, dalla Russia: con la guerra in Ucraina e l’embargo agli scambi commerciali che ha vietato l’esportazione a Mosca di un’importante lista di prodotti agroalimentari (come frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce) si è diffusa nel Paese di Putin una fiorente produzione di imitazioni del made in Italy a tavola, che hanno sostituito le esportazioni tricolori. Il risultato è che in molti territori, dagli Urali alla regione di Sverdlovsk, sono sorte fabbriche specializzate nella produzione di imitazione dei formaggi e salumi italiani per sostituire quelli originali.
Si tratta di impianti per la lavorazione del latte e della carne per coprire la richiesta di formaggi duri e molli, così come di salumi, che un tempo era soddisfatta dalle aziende agroalimentari italiane. Il sindacato russo dei produttori lattiero-caseari, Soyuzmoloko, ha stimato che la produzione di formaggio russo è quadruplicata raggiungendo i 47 miliardi di rubli (600 milioni di dollari), di cui una discreta fetta è rappresentata proprio dai prodotti simil-italiani, come il Parmesan. E se le incerte prospettive di mercato legate alla guerra hanno rallentato gli investimenti negli impianti tecnologici necessari alla stagionatura, i produttori di formaggio russi hanno comunque espresso fiducia che la Russia possa iniziare a produrre parmigiano di alta qualità da esportare attivamente in 5-7 anni.
Il “Russkiy Parmesan”, ad esempio, viene prodotto nel territorio di Stavropol e sul sito dei produttori si assicura che “è un’alternativa al Parmigiano Reggiano, è fatto con latte pastorizzato, matura 12 mesi e ha una consistenza dura molto simile e un gusto e un aroma intensi specifici”. Nelle stesse aziende si producono anche Montasio, Pecorino, mozzarella e ricotta, ma sui mercati si trovano anche mascarpone, robiola made in Russia, diversi tipi di salame Milano, di mozzarelle “ciliegine”, di scamorze, insalata toscana “Buona Italia” e pizza “Sono Bello Quattro formaggi” con tanto di errore grammaticale.
Se la Russia è il Paese dove il falso made in Italy è cresciuto di più, la leadership produttiva è saldamente nelle mani degli Stati Uniti, con il fenomeno delle imitazioni di cibo tricolore che è arrivato a rappresentare oltre 40 miliardi di euro, un terzo in valore dell’intero mercato dei tarocchi, secondo Coldiretti e Filiera Italia. Basti pensare che il 90% dei formaggi di tipo italiano in Usa sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. La produzione di imitazioni dei formaggi italiani, nel 2022, ha raggiunto negli Usa il quantitativo record di oltre 2,7 miliardi di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, tanto da aver superato addirittura la stessa produzione di formaggi americani come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack, che è risultata nello stesso anno pari a 2,5 milioni di chili. Il problema riguarda però tutte le categorie merceologiche, come l’olio Pompeian made in Usa, i salumi più prestigiosi, dalle imitazioni del Parma e del San Daniele alla mortadella Bologna o al salame Milano venduto in tutti gli Stati Uniti.
Ma l’industria del falso made in Italy a tavola è diventata un problema planetario, con il risultato che per colpa del cosiddetto “Italian sounding” nel mondo - stima la Coldiretti - oltre 2 prodotti agroalimentari tricolori su 3 sono falsi, senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo la Coldiretti ci sono i formaggi, a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali. Un fenomeno diffuso soprattutto nel Sudamerica, dove peraltro rischia di essere ulteriormente spinto dall’accordo di libero scambio Mercosur che obbliga di fatto Parmigiano e Grana a convivere per sempre con le “brutte copie” sui mercati locali, dal Parmesan al Parmesano, dal Parmesao al Reggianito fino al Grana.
Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano. Ma tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco, che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova, mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione Prosecco, sempre nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.
“Il contributo della produzione agroalimentare made in Italy a denominazione di origine - ha affermato il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale. Si tratta di una priorità per la nuova legislatura poiché ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300.000 posti di lavoro in Italia”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024