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L’INFLAZIONE IN CUCINA

Dalla ribollita alla pinza, contro il caro vita gli italiani riscoprono i piatti “anti-spreco”

Coldiretti: in cucina tornano ricette della tradizione popolare e il riutilizzo degli avanzi. Intanto è record storico per il biologico
BOLOGNA, Coldiretti, SANA, Non Solo Vino
Contro il caro vita gli italiani riscoprono i piatti “anti-spreco”

Fare la spesa diventa sempre più un “piccolo lusso” e gli italiani si adeguano con i piatti anti-spreco. Li preparano quasi sette famiglie su dieci e con un po’ di buona volontà e conoscenza delle tradizioni si riesce a portare a tavola portate buone e saporite. Non è comunque un periodo semplice e per il cibo c’è un ritorno alle ricette del passato con una attenzione particolare allo spreco. Lo dimostra anche il rapporto Coldiretti “La spesa green degli italiani, dal bio al km 0 fino al ritorno del piatti poveri antispreco” diffuso in occasione dell’inaugurazione del Sana, il salone internazionale del biologico e del naturale, di scena a Bologna, da oggi al 9 settembre. Italiani alle prese con l’inflazione alimentare che è stata, ricorda Coldiretti, pari al 9,8% ad agosto, secondo l’Istat, e i rincari che raggiungono addirittura il massimo del 43% per lo zucchero. Si spiega così il ritorno alle ricette della tradizione popolare con il riutilizzo degli avanzi o di ingredienti di base che sono il cuore della cucina italiana famosa nel mondo .
“Molti dei piatti più tradizionali - afferma la Coldiretti - hanno origine proprio dall’esigenza di non sprecare cibo come la ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta. Si possono preparare delle ottime polpette recuperando della carne rimasta semplicemente aggiungendo uova, pane duro e formaggio oppure la frittata di pasta per rivitalizzare gli spaghetti del giorno prima e ancora la pizza rustica per consumare le verdure avvolgendole in croccante sfoglia. Senza dimenticare la polenta, cibo di generazioni di italiani, che, quando avanza, può essere fritta e arricchita magari con pezzi di formaggio, oppure il pesce azzurro con le ricette tipiche regionali come le alici scottadito con o senza pan grattato o le sarde in saor con cipolla. Se avanza del pane, si può optare per la classica panzanella mettendo semplici ingredienti presenti in ogni casa, come pomodoro olio e sale per arrivare alla tradizionale ribollita che utilizza elementi poveri come fagiolo, cavoli, carote, zucchine, pomodori e bietole già cotte da unire al pane raffermo. Anche la frutta può rivivere se caramellata o diventare marmellata oppure macedonia”. Ma la tradizione rurale insegna anche a usare come ingredienti anche quelle parti della preparazione dei cibi che solitamente si gettano. L’acqua della pasta, soprattutto se è stata cotta quella ripiena, è arricchita dagli amidi e dalle proteine del grano. Può essere conservata in frigo per usarla come base per il brodo per risotti, carni, verdure in padella. L’acqua della bollitura delle verdure ha lo stesso utilizzo. I brodi di carne o pesce, ricchi di proteine, possono essere congelati e utilizzati per cotture successive o per minestre.
Nonostante la maggiore attenzione a livello sociale, il tema dello spreco alimentare resta rilevante. Nelle case italiane, ricorda Coldiretti, “si gettano mediamente a settimana 674,2 grammi di cibo pro capite, secondo Waste Watcher. Spreco che a livello nazionale costa 9,2 miliardi per l’intero anno. In Sudafrica e Giappone si spreca la metà che in Italia (324 e 362 grammi a settimana) mentre in Europa è la Francia il paese più virtuoso con 634 grammi settimanali, Germania e Regno Unito svettano con 892 e 859 grammi. Stati Uniti top-waste, con 1.338 grammi di cibo gettato a settimana. Ogni anno nel mondo viene gettato complessivamente quasi 1 miliardo di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello prodotto, con un impatto devastante sull’ambiente e sul clima, oltre che su un’economia già duramente colpita dall’emergenza Covid, secondo una analisi Coldiretti su dati Onu. A guidare la classifica degli sprechi sono le abitazioni private dove si butta mediamente circa l’11% del cibo acquistato mentre mense e rivenditori ne gettano rispettivamente il 5% e il 2%”. Senza tralasciare la stima “che le emissioni associate allo spreco alimentare rappresentino l’8-10% del totale dei gas serra”.
Buone notizie arrivano invece dal biologico che in Italia sta avendo una crescita molto forte. A livello nazionale, riporta un’analisi Coldiretti, presentata oggi sempre al Sana, la Superficie Agricola Utilizzata (Sau) destinata a biologico raggiunge il record storico di 2,3 milioni di ettari (+7,5%) pari a quasi ad un campo su cinque (19%) del totale con oltre 82.000 produttori agricoli, il numero più elevato tra i Paesi dell’Unione Europea. I terreni coltivati a biologico sono destinati per il 43% da seminativi come grano, orzo e avena, per il 28% da superfici a prati e pascoli per l’allevamento, per il 24 % da colture permanenti come frutteti, oliveti e vigneto per il 2,5% a ortaggi. Un risultato che spinge i consumi in Italia dove il valore del mercato interno dei prodotti biologici, evidenza Coldiretti, sale a quasi 5,5 miliardi con una crescita del +9% nel 2023 rispetto allo scorso anno. I tre quarti dei consumi interni, pari a oltre 4,2 miliardi, sono concentrati in ambito domestico e il resto riguarda la ristorazione dove si assiste a una crescita tumultuosa del +18% nell’ultimo anno, terminante a luglio (analisi Coldiretti, su dati Osservatorio Sana-Nomisma 2023).
Il successo del biologico italiano e da filiera corta è confermato anche dalla riduzione delle quantità di prodotto biologico importate dall’estero. Nel 2022 ci sono state meno importazioni rispetto all’anno precedente per oli e grassi vegetali (-31%), colture industriali (-26%) e cereali (-22%), secondo l’ultimo Rapporto Bio in cifre, citato da Coldiretti. “L’obbligo di scrivere in etichetta l’origine della materia prima e la volontà di valorizzare prodotti a km zero da parte dell’industria e dei consumatori, sta favorendo - spiega Coldiretti - la costruzione di filiere biologiche nazionali. Il logo nazionale del biologico Made in Italy previsto dalla legge nazionale di settore e la possibilità di realizzare importanti contratti di filiera anche per il biologico, contribuiranno ulteriormente ad uno sviluppo sempre più sostenibile delle filiere agroalimentari. In questo scenario è nata Coldiretti bio, associazione di imprese ed esperti del settore, per contribuire a una transizione green sempre più sostenibile e a una valorizzazione del bio nel piatto”.
I risultati ottenuti dall’agricoltura biologica contribuiscono a fare dell’agricoltura italiana la più green d’Europa di 5.547 specialità sono ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 319 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario, 526 vini Docg, Doc e Igt, 25.000 agriturismi che conservano da generazioni i segreti della cucina contadina e 15.000 agricoltori coinvolti in circa 1.200 farmers market di “Campagna Amica”.
Il successo del bio Made in Italy e delle vendite dirette a km zero, sottolinea Coldiretti, “è spinto anche dal fatto che i cibi e le bevande stranieri sono oltre sei volte più pericolosi di quelli italiani, con il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge che in Italia è stato pari al 6,4% nei prodotti di importazione, rispetto alla media dello 0,6% dei campioni di origine nazionale, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati dell’ultimo Rapporto Efsa che offre uno spaccato della presenza dei loro residui di pesticidi su frutta, verdura, cereali, prodotti per l’infanzia, olio e vino e altri prodotti analizzati da ciascuno dei Paesi dell’Unione sul proprio territorio”.
Secondo Maria Letizia Gardoni, presidente Coldiretti Bio,“il biologico sta già dimostrando di essere una risposta alle sfide attuali per una maggiore sostenibilità economica ambientale e sociale. È necessario però ricentrarlo nella sua dimensione agricola, legarlo saldamente al territorio di produzione ed affrontare un processo di evoluzione nel sistema di certificazione che possa essere sempre di più garante di un modello produttivo attento all’ambiente e alle persone di cui le aziende agricole italiane sono da tempo protagoniste”.

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