I toni sono davvero estremi, ma il rischio potenziale è enorme: la peste suina, che fino ad oggi è costata 500 milioni di euro in due anni, minaccia l’intero sistema produttivo dei salumi, con il rischio di un conto delle perdite, da qui in avanti, di 60 milioni di euro al mese. Lo dice l’Assica - Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi di Confindustria, oggi, da Cibus a Parma, nel convegno “Salumeria italiana: le sfide per il futuro, tra le incertezze del commercio internazionale e l’aumento dei costi produttivi”, che ha fatto luce su un settore che, nei primi 9 mesi 2023, ha mosso un export di 1,5 miliardi di euro, con una crescita del +5,2% in volume e del +9,3% in valore. Tanti i temi messi a fuoco negli interventi, ma ovviamente il focus è stato la situazione attuale della salumeria italiana, che sta attraversando uno dei periodi più difficili degli ultimi anni, con l’allarme della peste suina africana (Psa) che incombe come una spada di Damocle sull’intero sistema produttivo.
“Con il ritrovamento a metà aprile di un cinghiale infetto a Varano de’ Melegari, la zona di restrizione è stata allargata alle aree di Collecchio, Sala Baganza e Felino, mettendo in forte crisi le aziende che esportavano in Paesi quali il Canada e gli Stati Uniti. Abbiamo già aziende che hanno messo in cassa integrazione i dipendenti: da allarme sanitario la peste suina rischia di diventare un allarme sociale”, ha affermato il presidente Assica, Francesco Pizzagalli. Che ha aggiunto: “dobbiamo essere uniti nell’affrontare le opportunità di sviluppo attraverso modalità di confronto con le istituzioni. È giusto chiedere sussidi quando le nostre aziende vengono messe a rischio per colpe e situazioni che non sono imputabili a noi, ma i sussidi servono per affrontare la drammaticità del momento. Abbiamo bisogno di un sostegno reale agli investimenti, che sono quelli che garantiscono il futuro. L’intera filiera suinicola ha bisogno di aiuti straordinari, di nuove forme di accesso al credito per garantire la sopravvivenza di un settore che ha creato benessere in tanti territori, che ne ha valorizzato nel tempo le peculiarità, che non ha rincorso le delocalizzazioni per andare a produrre là dove costava meno produrre. Occorre equilibrio sul piano economico della distribuzione del valore; dare vita ad un sistema di filiera sostenibile; ripensare al ruolo delle produzioni Dop e Igp”.
Davide Calderone, direttore Assica, è entrato nel dettaglio dei danni della Psa, con numeri alla mano che evidenziano la dimensione del danno. “Fino a questo momento si sono avute perdite legate al mancato export per 500 milioni di euro in due anni e, se le cose non dovessero migliorare, il rischio sarebbe di subire ulteriori perdite per 60 milioni di euro al mese. Queste cifre avrebbero potuto essere anche più elevate, se non fosse stata messa in campo dal Ministero della Salute - con il sostegno di Assica - un’azione costante di informazione e dialogo con i principali Paesi importatori dei prodotti suinicoli; insieme all’attività diplomatica e tecnica del Governo si è agito per il contenimento delle misure restrittive di ordine sanitario vigenti in molti Paesi importatori”.
Ma tra i diversi interventi, si segnala anche quello di Marco Limonta, Consumer Packaged Goods Director di Circana, che ha analizzato le scelte di acquisto del consumatore, in un contesto comunque positivo per i salumi. “In un mercato che ha fatto registrare nel 2023 un generale calo dei volumi, pari a -0,9%, i salumi si sono contraddistinti per performance positive. Sia considerando tutti i canali distributivi, includendo i discount (+0,2%), ancor di più considerando i soli ipermercati + supermercati + libero servizio piccolo (+1,7%). Sicuramente queste performance sono state aiutate da un aumento dei prezzi meno elevato rispetto alla media del Largo Consumo Confezionato. I risultati sono legati anche alla volontà dello shopper italiano di continuare ad acquistare uno dei prodotti più importanti nel paniere di consumi, categoria quella dei salumi che è tra le più vendute nei punti vendita. Tuttavia, anche nei salumi assistiamo ad un cambiamento nelle scelte di acquisto da parte degli italiani: categorie con prezzi elevati sono stati maggiormente penalizzate dal contesto inflattivo, mentre altre, con prezzi più bassi, sono state premiate dal consumatore. Che ha messo in atto diversi cambiamenti nei “luoghi” dove effettuare gli acquisti di salumi, privilegiando negli ultimi mesi gli acquisti a Banco Taglio rispetto a quelli a Libero Servizio: i prodotti a Banco Taglio sono cresciuti del +4,6% a fronte di quelli a Libero Servizio a -0,3%. Il take away si conferma in difficoltà, con un calo dei volumi pari a -2,7%” ha concluso Limonta.
Importante anche il punto di vista della Grande Distribuzione. Mauro Lusetti, presidente Associazione Distribuzione Moderna e Conad, ha evidenziato le criticità del mercato interno. “L’export agroalimentare italiano potrebbe andare ancora meglio se venisse posta una maggiore attenzione ai consumi domestici. Le nostre eccellenze crescono forti se possono contare su un mercato interno che ne sostenga gli investimenti. Inoltre, penso che per continuare a crescere, le imprese industriali italiane dell’agroalimentare debbano pensare, con le istituzioni e le altre componenti della filiera, a mettere in atto piani di lungo termine che favoriscano la loro aggregazione in campioni nazionali di dimensioni adeguate per essere competitivi nei mercati internazionali”.
Un aiuto ai produttori può arrivare dal sistema del credito. Marco Perocchi, responsabile Banca d’Impresa di Crédit Agricole Italia ha spiegato come “sosteniamo con convinzione e importanti quote di mercato il settore della produzione dei salumi, della macellazione suina e della trasformazione di altri prodotti a base di carne. Abbiamo attivato dei tavoli di ascolto con i produttori proprio per approfondire ulteriormente le necessità immediate del settore e cercare le migliori soluzioni e gli strumenti finanziari più adeguati per sostenere tutta la filiera”.
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