Il mercato mondiale del vino nel 2023 ha generato 9,8 miliardi di litri per un valore di 35,9 miliardi di euro. Parliamo di un settore “globale”, il vino è un prodotto universale, ma con dei perni di riferimento per quanto riguarda la commercializzazione, basti pensare che Italia, Spagna e Francia hanno coperto, nel 2023, il 56% del volume ed il 63% del valore totale del vino esportato nel mondo. Un dato che la dice lunga sul “peso” di questi tre Paesi, Francia e Italia soprattutto. Ma il mercato del vino è anche qualcosa di fluido che “assorbe” i cambiamenti sociali che in questo periodo sono decisamente veloci, complice anche variabili come inflazioni, costi energetici, conflitti, accise, ma anche crescita economica, e, di conseguenza, non mancano le potenzialità in quelle nazioni che stanno dimostrando un interesse sempre più rilevante per il vino. Sono quei mercati adesso ritenuti “minori” ma che possono diventare sempre più rilevanti, in primis per il numero della popolazione e per le possibilità di sviluppo economico. Area 39, realtà nata nel 2017 e che fa leva sul marketing per accompagnare le aziende italiane del settore Food & Wine nel percorso di crescita in Italia e all’estero, ha analizzato i mercati del vino “minori” in Paesi terzi (dove le opportunità per il settore del vino possono arrivare anche grazie agli Ocm) dove sarà anche presente, con piccole collettive di aziende italiane, in occasione delle fiere Prowein del secondo semestre 2024, e quindi San Paolo (1-3 ottobre), Mumbai (8-9 ottobre) e Shanghai (12-14 novembre).
Il mercato brasiliano (il Paese ha oltre 220 milioni di abitanti, ndr) si sta dimostrando attrattivo per il settore vino e può crescere ancora tanto. Nel 2023, il valore delle importazioni è rimasto sostanzialmente stabile rispetto al 2022, con un leggero incremento nei volumi. Il Cile (oltre 159 milioni di euro in valore nel 2023) si conferma nettamente come primo partner commerciale, davanti all’Argentina ma entrambi sono in ribasso nei confronti del 2022. Crescono, al contrario, le quote dei Paesi europei, con il Portogallo, terzo partner di riferimento, che registra un +51% nei volumi esportati, e la Francia, molto positiva nelle esportazioni a valore (+26%), che precede l’Italia, quinta in classifica con una quota di mercato dell’8,2 % (leggermente positivo l’aumento a valore, mentre i volumi scendono dell’8,3%) per un valore, nel 2023, di 35,4 milioni di euro. Quello brasiliano è oggi il sedicesimo mercato mondiale, addirittura in crescita del 4,8% rispetto al 2022 (annata da record per il vino, ndr), in termini di consumi, compreso quello pro capite che ha raggiunto i 1,9 litri per persona, il livello più alto dal 2015, e che eguaglia il 2020. Nel 2023 il Brasile ha importato 1,56 milioni di ettolitri di vino per un valore di 432 milioni di euro. La variazione tendenziale, sullo stesso periodo del 2022, è stata del +1,5% in volume, ma del -1,7% in valore. I vini in bottiglia sono stati la principale categoria importata nel periodo considerato, nonostante il calo del 4% in valore, e, tra tutte le categorie di vini, la performance migliore è ascrivibile agli spumanti, cresciuti del 13,9% in quantità e del 35,91% in valore. Nonostante il calo nei prezzi medi dei fermi abbia diminuito il prezzo medio complessivo, quello degli spumanti è in crescita del 18,4%: il prodotto sta via via acquisendo maggior rilievo anche in termini di posizionamento. Una delle peculiarità in Brasile sta nel fatto che il “vinho de mesa” (vino da tavola), che costituisce oltre il 90% della produzione vinicola, è prodotto con uve non vitis vinifera. Le normative, sottolinea Area39, non richiedono che il vino da tavola specifichi la varietà o l’annata, rendendolo un prodotto economico e di bassa qualità. Solo il 10% della produzione vinicola brasiliana, una piccola parte rispetto ai 4 miliardi di dollari di fatturato annuo, è ottenuto da vitis vinifera ed etichettato come “vinho fino”, ovvero vino di alta qualità. Le possibilità di “scalata”, dunque, ci sono per il vino italiano anche perché il mercato enoico, pur godendo di un elevato potenziale di crescita, è caratterizzato ancora da un tasso di penetrazione limitato. I consumatori di vino brasiliani appartengono generalmente alla classe media o a quelle più agiate, e questo prodotto, prima del Covid, veniva consumato principalmente durante eventi specifici, celebrazioni e festività. La pandemia ha rivoluzionato tale paradigma in Brasile con il canale off-premise che ha subìto una repentina crescita, supportato anche dai canali digitali. Oggi l’80% delle vendite appartiene al canale off-trade, e il restante 20% al canale horeca. Se a livello mondiale i consumi vanno via via contraendosi, il Brasile è cresciuto anche attraverso l’e-commerce che ha fatto da traino. Una performance guidata dai vini fermi, il mercato brasiliano resta infatti un mercato “senza spumanti”: ciò si spiega col fatto che il Brasile è culturalmente legato a vini sudamericani e portoghesi caratterizzati da una produzione poco spumantistica. Il vino preferito dai brasiliani è il rosso che copre il 68,5% delle vendite ma crescono lievemente anche i rosati, sebbene il futuro, secondo alcuni analisti, appartenga agli spumanti.
Passando al sudest asiatico, e più precisamente l’area Asean, che si presenta come una macroregione con una popolazione di oltre 600 milioni di abitanti, in cui l’export italiano potrebbe avere margini di crescita rilevanti grazie al miglioramento costante di tutti gli indicatori economici. Fondata nel 1967, l’Asean rappresenta un’organizzazione politica, economica e culturale, caratterizzata da libero scambio al suo interno. I suoi stati membri sono: Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam. L’Asean è il terzo partner commerciale per l’Ue, dopo Usa e Cina. Dei 10 Paesi della regione, solo Vietnam e Singapore hanno però firmato un accordo di libero scambio con Bruxelles, ricorda Area39. All’interno dell’area, Singapore e Taiwan ricoprono un ruolo nevralgico: sono i principali consumatori di beni occidentali e rappresentano centri logistici nevralgici per la redistribuzione interna all’Area. Nelle statistiche riportate, ai dati riconducibili all’Asean, sottolinea Area39, vengono sommati quelli di Taiwan, Maldive e Mauritius che, pur non facendo parte dell’Asean, fungono da partner commerciali strategici per l’industria vinicola. In più, verranno inglobati i dati relativi all’India, che rappresenta il paese più popoloso non solo dell’area, ma del mondo, avendo sorpassato la Cina grazie agli 1,43 miliardi di abitanti che la compongono. Nel 2023, questi paesi hanno importato vino per un valore complessivo ben superiore a 1,1 miliardi di euro. Il Sud-est asiatico si compone di realtà con rilevanti differenze anche sul fronte dei consumi di vino: a tal proposito, ci sono economie emergenti come India, Indonesia, Malesia ed (in parte) Thailandia e Vietnam, dove il mercato del vino (e di conseguenze le importazioni) presentano al momento una dimensione economica limitata, essendo il vino un prodotto di nicchia confinato ad alcuni specifici target di consumatori: middle e upper class, turisti, lavoratori stranieri. Al contrario, Paesi come Taiwan e Singapore, si caratterizzano per l’elevata capacità di spesa della propria popolazione, una sempre maggiore attenzione verso la cultura e la cucina occidentale e una storica propensione al consumo di bevande alcoliche.
L’India è sicuramente un “osservato speciale” da parte del mondo del vino. Area39 cita un recente report realizzato dal Ministero del Commercio Indiano che rivela un’impennata senza precedenti delle importazioni di vino in India. Tra aprile e ottobre 2023, il Paese aveva già importato vino per un valore di 170,48 milioni di dollari (159,4 milioni di euro), molto di più degli oltre 35 milioni di dollari dell’intero anno fiscale precedente. Un balzo che non ha eguali negli ultimi anni e riflette un cambiamento nelle abitudini di consumo, favorito da un’offerta sempre più ampia di vini di qualità e da una crescita del reddito pro capite. Non a caso, mentre a livello globale i volumi di bevande alcoliche sono calati nel 2022, in India sono aumentati del 12%, trainati da vini (+19%), birra (+38%) e ready-to-drink (+40%), come ha sottolineato un recente studio dell’Iwsr. L’evoluzione è evidente anche nei ristoranti e hotel, che stanno ampliando notevolmente la loro carta dei vini e, sebbene l’India rimanga il più grande mercato mondiale di scotch whisky per volumi, le nuove generazioni stanno mostrando un interesse per il vino mai visto prima. Un trend che apre a nuove e interessanti opportunità per il settore vitivinicolo in India. Seppur estranea alla tradizione secolare, la cultura del vino ha iniziato a diffondersi negli ultimi vent’anni, conquistando un crescente interesse tra gli indiani. La produzione, condizionata da un clima non sempre favorevole alla coltivazione della vite, si concentra in alcuni Stati: il Maharashtra (85% della produzione nazionale), il Karnataka e l’Himachal Pradesh. I consumi per l’80% si sommano in quattro Stati su ventotto, con una prevalenza nelle grandi città come Mumbai, Delhi, Goa e Bangalore. La produzione interna sta comunque ottenendo visibilità a livello internazionale. I vini indiani, infatti, partecipano sempre più spesso a fiere internazionali e iniziano a ricevere premi e riconoscimenti. Area 39 ha ricordato che Vinod Giri, direttore generale della Confederazione indiana delle aziende produttrici di bevande alcoliche (Ciabc), ha espresso il suo sostegno alla riduzione dei dazi doganali sul vino, definendola un passo fondamentale per il sostegno all’industria nazionale e l’apertura del mercato a nuove opportunità.
Restando in Asia, da grande speranza per il mercato del vino, la Cina è diventata rapidamente il “malato” da guarire a causa di una crisi produttiva ma anche di consumi. Ma, per potenzialità, rimane importante nelle strategie di tanti produttori. Secondo l’Organizzazione internazionale del Vino (Oiv), nel 2023, il volume di produzione cinese, dopo il picco del 2018 (9,3 milioni di ettolitri), è diminuito costantemente sino agli attuali 3,2 milioni di ettolitri, pari ad una variazione negativa del 54% rispetto al picco, valendo ora solo per l’1,3% della produzione globale. Ad oltre quattro anni dal Covid, che ha drasticamente modificato le abitudini al consumo di vino in Cina, nessun segnale positivo è emerso e i principali produttori nazionali hanno registrato profitti negativi per il terzo anno di seguito (fonte citata da Area39: Statista, 2024). I cali di consumo di vino che hanno caratterizzato la Cina negli ultimi anni, dovuti prima alle restrizioni conseguenti alla pandemia, poi al rallentamento dell’economia, sono proseguiti anche nel 2023. Il mercato cinese, ottavo al mondo per consumo di vino, è calato del 6,7% rispetto al 2022. Secondo l’Oiv, la diminuzione del consumo di vino in Cina è direttamente responsabile della riduzione del consumo di vino a livello globale: l’organizzazione intergovernativa stima che ogni anno, a partire dal 2018, il consumo di vino in Cina registri un calo di 2 milioni di ettolitri, corrispondenti a circa 260 milioni di bottiglie. Il consumatore cinese si caratterizza per una forte predilezione nei confronti dei vini fermi, in particolare i rossi che al momento coprono circa il 74% dei consumi complessivi: in valori assoluti si parla di oltre 8,5 milioni di ettolitri che permettono alla Cina di rappresentare (forse ancora per poco) il mercato di consumo più grande al mondo, per quanto concerne questa tipologia di prodotto. Seguono i rosati (22,6%) e poi bianchi e sparkling con quote, però, irrisorie.
L’off-trade è il principale canale di vendita ed assorbe il 57% dei volumi commercializzati: al suo interno un ruolo di primo piano è giocato dalla Gdo (dove si focalizzano le vendite di domestic wines). Sono importanti anche i canali e-commerce, specializzati soprattutto sui vini di importazione, la Cina è in assoluto il mercato dove il ricorso al web per l’acquisto di vino (e non solo) ha trovato maggiore diffusione. L’on-trade pesa per il restante 47% e rappresenta il principale canale di commercializzazione per i vini di importazione, soprattutto quelli di fascia medio-alta.
Nel 2023 la Cina ha importato 2,5 milioni di ettolitri di vino per un valore di circa 1,1 miliardi di euro. La variazione, rispetto al 2022, è stata del -26,1% in volume e del -21,7% in valore. I vini in bottiglia rimangono la principale categoria importata nel periodo considerato, nonostante una flessione pari al 30% in volume e del 21% in valore. Tra tutte le categorie di vini, la performance peggiore è per gli spumanti, diminuiti del 28% in quantità e del -12,5% in valore. In uno scenario di crescita generalizzata dei prezzi (+6%) gli spumanti si confermano al Top della graduatoria (12,3 euro al litro) in valore assoluto, mentre tra le principali categorie la flessione più rilevante ha riguardato i vini sfusi (-25%).
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