Luxuria è una parola latina intraducibile: è quell’inesausta brama di piaceri che non trova mai soddisfazione. Un vizio pericoloso, collegato al desiderio e all’eccesso, dipendente dall’accumulo e dallo sfoggio di denaro. Intorno ad essa ruota il saggio “Luxuria” di Francesca Romana Berno (Salerno Editrice, 184 pagine, 17 euro), che ne racconta la storia attraverso personaggi più o meno famosi - da Lucullo a Cleopatra, passando per Trimalcione - che mettono in scena questo vizio, tra sontuosi banchetti, ville meravigliose, amene località di vacanza. Ma è nei palazzi del potere che si trovano i massimi campioni di luxuria, come gli imperatori Caligola e Nerone.
Secondo i Romani, l’origine della parola era da ricercare nel lusso conseguente alle conquiste dei ricchi Paesi orientali. La sua storia comincia proprio come spreco di denaro, per poi estendersi agli eccessi della vita pubblica e privata. Del resto la parola “luxuria” in latino deriva da “lussazione”, intesa come uscita dalla norma - come è del resto una disarticolazione delle ossa - e da “lussureggiante”, inteso come proliferazione incontrollata. Non paga di aver conquistato l’Impero, la luxuria talvolta assume addirittura le fattezze di un mostro che incalza e perseguita gli uomini. Luxuria sarà considerata colpevole agli occhi degli antichi romani per la sua condotta insensibile all’etica, al rispetto della percezione e della misura: scandalosa responsabile nel prevalere dei capricci individuali sul bene comune e sull’ordine. Il libro raccoglie una miniera di aneddoti vivaci e divertenti, e ci dimostra come la letteratura latina è morta e polverosa solo per chi la considera tale.
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