Il Monti Lessini è ufficialmente la nuova denominazione di origine dedicata al Metodo Classico del territorio compreso tra le province di Verona e Vicenza. A base di uve dell’autoctona Durella sarà l’unica Doc veneta dedicata esclusivamente alla produzione di Metodo Classico, assumendo il nome dell’area di produzione Monti Lessini, mentre gli spumanti, prodotti con Metodo Charmat, porteranno in etichetta la dicitura, preesistente, Lessini Durello. Una distinzione sostanziale a livello di regole produttive, necessaria prima di tutto nei confronti dei consumatori.
Il debutto del Monti Lessini a “Durello&Friends 2025” n. 23, evento organizzato dal Consorzio di tutela del Lessini Durello, nei giorni scorsi, a Verona, ha coronato un percorso iniziato oltre dieci anni fa che segna un momento particolarmente significativo, al contempo punto di arrivo e di partenza, che deve fare i conti con una produzione quantitativamente esigua. “È un punto di arrivo perché è stato un percorso non facile, non scontato e molto dibattuto tra i produttori - ha raccontato Gianni Tessari, presidente del Consorzio Lessini Durello, a Winenews - che ci permette di comunicare e affrontare mercato e consumatori con una identità molto più definita e precisa, insomma con meno ambiguità e possibilità di confusione. Oggi siamo arrivati a un milione di bottiglie considerando entrambe le tipologie, con il Metodo Classico che ha superato il 30% del totale ed è in crescita. Non sono numeri importanti, siamo consapevoli di questo, ma è un indicatore di crescita che nel mondo del vino non è così scontato e diffuso. Non tutti possono mettere davanti alla produzione un segno più, seppure su una produzione totale non elevata. In un momento complesso per il vino in cui gli spumanti sembrano non subire flessioni di sorta, lavorare sulla valorizzazione del Metodo Classico e sulla vocazionalità spumantistica del nostro comprensorio diventa strategico”. L’ettarato per espandere la produzione c’è, e soprattutto, c’è l’attitudine della Durella alla spumantizzazione. L’autoctono è capace di mantenere una elevata acidità anche a maturazione fenolica completa, caratteristica un poco “temperata” dal cambiamento climatico, che oggi permette di utilizzarlo in purezza senza la mediazione di un complementare, ad esempio lo Chardonnay, come accadeva qualche decennio fa. Acidità tipica e mineralità derivante dai suoli vulcanici dell’area esaltate del Metodo Classico, conferiscono peculiarità distintive al Monti Lessini che sono state evidenziate in una masterclass che l’ha visto nell’incontro alla cieca con i “friends 2025”: Trentodoc, Franciacorta e Alta Langa. Molto interessanti i risultati dello studio Nomisma Wine Monitor “Percezione e prospettive delle bollicine alternative nei consumatori italiani”,presentato nel talk: “Bollicine da Metodo Classico: lo stato dell’arte”.
Colpisce molto che, nonostante l’indagine sia stata condotta su un campione di consumatori selezionato in base alla confidenza e alla frequenza di consumo di spumanti, pochi conoscano le differenze tra i due metodi di produzione. Emerge, inoltre, in generale, una conoscenza parziale e superficiale da colmare che si pone come sfida e al contempo opportunità per la Doc Monti Lessini. “Il consumatore - ha evidenziato Evita Gandini, Head of Market Insights Nomisma Wine Monitor, analizzando le potenzialità commerciali per il Monti Lessini - riconosce nel legame identitario con il territorio il vero valore aggiunto di uno spumante di elevata qualità. Inoltre, la presenza di una denominazione di origine e la zona altimetrica (collina o montagna) rappresentano le caratteristiche distintive di un buon Metodo Classico rispettivamente per il 18%, 12% e 11% dei consumatori. Rilevante, in questa mappa valoriale, anche la provenienza del vitigno: il fatto che sia autoctono è un plus fondamentale per il 17% dei consumatori”. Tuttavia, a guardare le risposte del campione, la distinzione tra vitigno “autoctono” e “internazionale”, non sembra nota ai più. “Meno rilevante (4%) - ha continuato Gandini - appare, invece, la prerogativa di un lungo affinamento sui lieviti, segno che un Metodo Classico di qualità può esprimersi anche in versioni leggere e fresche, prive di grande struttura. Affinché la curiosità si traduca in valore percepito e reale disponibilità a pagare, risulta però fondamentale la narrazione di metodo, territorio e varietà: vitigni autoctoni (per un terzo dei consumatori l’origine rappresenta proprio il primo elemento da valorizzare), suoli vulcanici (18%), versatilità (17%) e altitudine (10%) costituiscono gli elementi chiave da veicolare al consumatore”. A fronte di questo percepito restano fondamentali i canali di distribuzione. “Nel canale Horeca, che vale per il vino 1/3 delle sue vendite - ha sottolineato Bruno Berni, Business Development Manager CFI Group - giocano un ruolo chiave i distributori di bevande, che ne assorbono il 75%. Dopo anni di crescita, nel 2025 il vino (come le altre bevande alcoliche) ha segnato un rallentamento (più a volume che a valore), tuttavia, nonostante questo, è oggi una delle categorie più importanti per il distributore di bevande in quanto vale il 17% del suo fatturato. Le bollicine (che pesano per il 33% sulle vendite di vino nell’Horeca) sono l’unico segmento in crescita anche grazie alle performance positive del Prosecco che ormai vale il 47% delle vendite di bollicine.
Questo evidenzia che metà del mercato è fatto da altre tipologie di bollicine, che coprono sia la fascia più bassa sia quella più alta; quindi, anche un prodotto nuovo come il Monti Lessini può trovare il suo spazio. A due condizioni, però. La prima è che si abbandoni la logica del puro sell-in: è fondamentale costruire un prodotto che intercetti i gusti del consumatore, con un posizionamento chiaro e coerente che però deve essere supportate con attività di sell-out e trade marketing. La seconda, è che si scelga con chi lavorare nel canale Horeca. I distributori di bevande sono 2000, apparentemente tutti uguali, ma in realtà molto diversi per dimensione, per filosofia, per organizzazione e soprattutto per il ruolo che il vino gioca per loro”.
Del ruolo strategico dell’Horeca ha parlato anche Lucio Roncoroni, direttore Cda (Consorzi Distributori Alimentari), realtà che aggrega 80 imprese della distribuzione e dialoga quotidianamente con oltre 100.000 punti vendita in tutta Italia: “Il canale Horeca rappresenta oggi uno dei luoghi più sensibili e strategici per comprendere l’evoluzione del mercato del vino. Dal nostro osservatorio emerge un quadro complesso: il 2025 si chiuderà per l’Horeca sostanzialmente in pareggio: il segmento delle bevande alcoliche mostra segnali di sofferenza dovuti a cambiamenti nei consumi, razionalizzazione dei listini e maggiore attenzione alla spesa da parte del consumatore. In questo scenario, le bollicine rappresentano però un’eccezione significativa: sono l’unico segmento del vino in crescita, grazie alla loro versatilità d’uso e alla capacità di parlare a pubblici diversi”. Secondo i dati raccolti da Cda, da una parte, crescono, infatti, i frizzanti più accessibili, mentre, dall’altra, gli spumanti Metodo Classico mostrano un potenziale di differenziazione e qualificazione dell’offerta. In altri termini un’opportunità commerciale da cogliere. Tuttavia, ha concluso Roncoroni, “per cogliere queste opportunità non basta la qualità del prodotto. È necessario rafforzare formazione, narrazione e collaborazione lungo la filiera perché “vendere vino” non è vendere una commodity, ma trasferire cultura, contesto e valore”.
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