Tra gli scavi e le sorprendenti scoperte, a Pompei si continuerà a coltivare la vite come avviene da secoli: da quanto apprende WineNews, a prendersi cura dei vigneti del Parco Archeologico più visitato al mondo, sarà Feudi di San Gregorio, gruppo vinicolo di riferimento della Campania, “custode” della storia del vino della regione, con il cuore in Irpinia, con Feudi di San Gregorio, a Sorbo Serpico (dove dimorano i cosiddetti “patriarchi” della vite, patrimonio plurisecolare di grandissimo valore per la viticoltura mondiale), ma al quale fanno capo anche Galardi, produttore dell’iconico vino Terra di Lavoro, nel casertano, Basilisco, cantina simbolo del Vulture, Campo alle Comete, a Bolgheri, e Sirch, nei Colli Orientali del Friuli, e che ha messo radici anche ad Ischia (come abbiamo anticipato, nei giorni scorsi). Ripartirà, infatti, con la nuova partnership tra il Parco italiano e il gruppo guidato da Antonio Capaldo, il progetto vitivinicolo dell’Azienda Agricola Pompei, affascinante e di grande spessore, tra agricoltura e cultura, con l’ufficialità prevista a giorni, e con il sogno di far rinascere il “vino pompeiano”.
“Super entusiasti, è vero che ci è stata data l’aggiudicazione, ma anche che c’è molto lavoro da fare per definire tutti i passi del progetto ed arrivare a lanciarlo” dice, sentito da WineNews, Antonio Capaldo. La gara prevede di occuparsi di quasi 6 ettari di vigna a Pompei - 1,7 ettari sono già presenti nella città antica, ma si arriverà a 5,8 ettari nel prossimo futuro, tra Pompei e gli altri siti del Parco come Stabiae, Oplontis, Boscoreale e Longola, ndr - in cui si lavorerà con i vitigni autoctoni della Campania e una cantina in cui si vinificherà seguendo protocolli, ovviamente modernizzati, ma rispettosi della storia. Nel Vivaio di Pompei, che è il centro di ricerca e il polo rigenerativo del programma Azienda Agricola, possono essere sperimentate anche le viti, e negli anni passati è stata fatta una selezione di vitigni antichi, dal Piedirosso al Caprettone, dal Fiano al Coda di Volpe e al Greco di Tufo, attestati in queste zone fino all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. Con il nuovo progetto tutta la produzione di vino verrà condotta nel Parco, dal grappolo alla bottiglia, compresi anche l’affinamento e l’invecchiamento di vini che arriveranno, magari, dal vigneto della Casa Europa o del Foro Boario, come se fossero dei Cru frutto di una “zonazione archeologica”.
L’Azienda Agricola Pompei, tra campi, orti didattici e vigne, appunto, porta avanti produzioni agroalimentari che, nelle tecniche e nelle caratteristiche, affondano le radici ai tempi dell’antica Roma, come ci aveva spiegato nel lancio del progetto Paolo Mighetto, direttore dei lavori della gestione del verde del Parco Archeologico, con l’obbiettivo di riattivare un territorio che fin dall’antichità era uno dei più fertili al mondo, e che continua ad esserlo, come parte della “Campania Felix”, secondo la fortunata definizione che si deve al naturalista Plinio il Vecchio, morto a Stabia, nell’eruzione del Vesuvio.
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