Accessibilità ai mercati, processi decisionali degli attori economici e capacità di adattamento dell’offerta ai mercati stessi: ecco i tre atout su cui puntare e lavorare per migliorare la competitività, e quindi le esportazioni, dei vini europei nel 2015, emersi dal rapporto condotto dalla società indipendente Cogea (www.cogeaspa.it) per conto della Commissione Europea.
Per creare un clima favorevole allo sviluppo commerciale, si possono prendere in considerazione diverse soluzioni. Per prima cosa, si può lavorare sullo stanziamento dei fondi per la promozione dell’Ocm, per favorire la penetrazione nei mercati non tradizionali, come la Corea del Sud, il Messico, l’Algeria o le Filippine. Ma gli aiuti per la ristrutturazione ed i fondi europei possono essere sfruttati anche per migliorare l’organizzazione strutturale e organizzativa delle aziende, orientandola all’esportazione. Il rapporto, quindi, sottolinea l’importanza delle condizioni normative e commerciali all’interno delle quali operano gli esportatori: “è auspicabile accelerare l’iter degli accordi bilaterali, non solo con i Paesi con i quali ci sono già discussioni in corso, ma anche con quelli con cui non esiste, al momento, un dialogo in tal senso”.
Non ci sono, però, solo i fattori politici e regolamentari ad influenzare l’accessibilità ai mercati: tra i limiti più grandi c’è la dimensione delle aziende vitivinicole europee, storicamente molto piccole, per questo il rapporto consiglia di “sviluppare iniziative pubbliche che facilitino la creazione di unioni commerciali, e sistemi organizzativi, che favoriscano delle azioni di marketing collaborative”. Da un punto di vista tecnico, per migliorare l’accessibilità ai mercati, potrebbe rivelarsi strategicamente molto importante facilitare l’imbottigliamento direttamente nelle aree di consumo, puntando sul trasporto del vino in flexitank (un contenitore flessibile installato in un container marittimo, molto meno costoso di serbatoi d’acciaio o autobotti, ndr): “per questo - si legge nel rapporto - è necessario modificare alcune regole che si sono imposte le indicazioni geografiche europee, come l’obbligo di imbottigliamento sul luogo di produzione”, ma anche “ampliare la portata degli investimenti in strumenti di logistica ed imbottigliamento”, una proposta difficilmente realizzabile, perché avrebbe bisogno di investimenti Ue al di fuori dei confini europei.
Detto dell’accessibilità ai mercati, il secondo fronte su cui lavorare è quello che riguarda il processo decisionale degli attori economici. Sarà fondamentale, secondo Cogea, avere il maggior numero di informazioni possibili sull’andamento della filiera economica del vino nei diversi mercati, perché il panorama futuro sarà fatto di una domanda enoica sempre più complessa e sofisticata, e questo accrescerà la rivalità tra i diversi produttori. Perciò, sarà fondamentale mantenere una vigilanza costante sui cambiamenti in atto nei diversi mercati, e sul comportamento dei concorrenti, così come la capacità di utilizzare questa mole di informazioni per trasformarle in decisioni aziendali, puntando forte sulla formazione e l’inserimento di nuove figure professionali.
Infine, come detto, l’offerta enoica ha bisogno di adattarsi ai mercati. Come? Aggiustando il tiro su due grandi tipologie, i vini ad indicazione geografica e gli entry level, che devono necessariamente crescere. Il rapporto prende in esame la mancanza di conoscenza, da parte dei consumatori, delle etichette di origine, ma anche lo scarso che ne fanno i dettaglianti, che preferiscono comunicare l’origine di un vino in termini di Paese o Regione. Secondo il rapporto, una delle principali ragioni della sottoperformance delle indicazioni geografiche europee è l’uso di sigle diverse nel linguaggio usato, suggerendo che “si dovrebbe armonizzare l’uso degli acronimi a livello europeo”, che sostiene anche l’importanza della promozione delle indicazioni geografiche stesse. Inoltre, il rapporto suggerisce di permettere, a livello europeo, la creazione di etichette nazionali o regionali per comunicare l’origine menzionando le aree geografiche più adatte ad alcuni mercati: ad esempio “Paese d’origine Francia”, “Regione d’origine Toscana”.
L’adattamento ai mercati, inoltre, dipende anche dal miglioramento dell’offerta di vini varietali, che rappresentano in realtà una piccola quota delle esportazioni europee: “sembra che questi vini - si legge nel rapporto Cogea - non costituiscano una strategia per i produttori europei, tuttavia, il fatto che raccolgano poco successo potrebbe essere dovuto alla politica di ristrutturazione dei vigneti di alcuni Stati membri, che hanno escluso alcune varietà che avrebbero potuto giocare un ruolo importante nella conquista di certi mercati”. Infine, è necessario che i vini europei imparino ad essere presenti in maniera forte su tutti i segmenti di mercato, in particolare sull’entry level, dove sono decisamente sottorappresentati: “l’esperienza di altri settori - conclude il rapporto - dimostra che la strategia vincente di un vero leader di mercato è quella di imporsi su ogni segmento, sceglierne uno può andar bene per i piccoli produttori, ma non è opportuna, in definitiva, puntare solo sui vini di fascia alta, trascurando gli altri segmenti di mercato”.
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