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Vino: filiere a basso impatto, buone per l’ambiente e per l’impresa lca e “carbon footprint” per individuare i punti critici e porre rimedio ... Ridurre i consumi idrici e i rifiuti, le emissioni climalteranti e il ricorso ad agenti chimici; promuovere l’efficienza energetica e l’uso dell’energia rinnovabile; mettere in campo strategie di contenimento dell’erosione del terreno e di tutela della biodiversità. Sono queste alcune delle azioni utili per rendere il vino italiano non solo buono, ma anche sostenibile per l’ambiente. Di filiere a basso impatto ambientale si è parlato oggi nel convegno “Come costruire un modello di gestione sostenibile della filiera del vino”, presso la sede romana della Federazione italiana dottori in agraria e forestali (Fidaf). Quando si parla di produzione di vino, si fa riferimento a una filiera che va dalla vigna all’etichettatura passando per la produzione di bottiglie e la distribuzione. Allora, come fare ad individuare i punti “critici”? Da una parte c’è la metodologia del Life Cycle Assessment (Lca), che consente di analizzare l’intero ciclo di vita della filiera calcolando gli impatti ambientali connessi alle varie fasi, attraverso software riconosciuti (SimaPro, Ga.Bi. etc), individuare i passaggi che hanno un maggior carico ambientale e progettare interventi di miglioramento mirati, dalla fase di progettazione (ecodesign) alla dismissione del prodotto. “Per poter ridurre i costi energetici si può far ricorso alla metodologia “carbon footprint” che è in grado di misurare le emissioni climalteranti dei prodotti in ogni fase del loro ciclo di vita e individuare i principali punti critici”, spiga Francesca Cajani, consulente Altran (gruppo che offre consulenza avanzata in ingegneria e innovazione). In questo caso, “il prodotto finale immesso al mercato sarà dotato di un’etichetta che indica le emissioni di Co2 associate così da fornire un’indicazione trasparente ai consumatori”. Trasparente, sì, ma anche allettante. Perché il consumatore è sempre più responsabile: secondo una ricerca di WineNews presentata alla scorsa edizione di Vinitaly, la possibilità di identificare una bottiglia di vino con valori ‘green’ rappresenta per il consumatore un motivo in più per acquistare quell’etichetta. Insomma, tra ragioni del marketing e sensibilità ambientale, la sostenibilità della filiera del vino inizia la sua strada. Strada che ha già portato ad alcuni risultati interessanti. Tra questi, la produzione di Biancodarco, il primo vino Frascati superiore Doc da agricoltura biologica ottenuto completamente senza l’aggiunta di solfiti. Tra le tecniche usate, la selezione delle uve, una pressatura soffice in presenza di Co2, l’inoculo con uno starter per l’avvio rapido della fermentazione, la stabilizzazione tartarica e la chiarifica a bassa temperatura e l’imbottigliamento in condizioni isobariche. Non sono state usate proteine animali in chiarifica, ma proteine vegetali da leguminose, per cui il vino è non solo “allergen freee”, ma anche adatto a consumatori vegetariani e vegani. Questo bianco è il risultato del progetto “Sviluppo e trasferimento di sistemi innovativi di produzione per la qualità e salubrità al consumo di vini dei Castelli Romani - Applicazione combinata di prodotti enologici e tecnologie di vinificazione per limitare il contenuto di So2 totale nei vini al consumo” promosso da Federbio con Regione Lazio e Università della Tuscia, nell’ambito del quale è nata anche ProBio Lazio, associazione costituita dagli stessi produttori biologici. Il progetto, nel quale si inserisce il convegno di oggi, ha come obiettivo la limitazione di So2, ovvero la presenza indesiderata dell’anidride solforosa e dei suoi sali nei vini al consumo, garantendone la qualità. I solfiti, nonostante la loro utilità, hanno un’azione tossicache si esplica in forma acuta e cronica, provocando carenze vitaminiche, modificazioni istologiche dello stomaco e accrescimento rallentato, oltre a risposte allergiche come rush cutanei, attacchi asmatici, crampi addominali. L’Oms ha stabilito che la dose giornaliera ammissibile corrisponde a 0.7mg/Kg/die di peso corporeo. “La produzione di vino rappresenta uno dei settori principali dell’economia nazionale e di determinati territori locali particolarmente vocati - commenta Paolo Carnemolla, presidente Federbio - La gestione di un progetto come questo, che ha l’obiettivo di promuovere pratiche innovative per assicurare una produzione salubre e di qualità del vino rappresenta per la Federazione un impegno molto importante nel quale stiamo concentrando il nostro impegno. Soprattutto in questo periodo, a seguito dell’approvazione del regolamento europeo sulla vinificazione bio, vogliamo essere un punto di riferimento per tutto il comparto”. La sostenibilità, in questo caso, fa rima con business: tutelare le risorse naturali e dei territori di produzione del vino, significa proteggere lo sviluppo economico del settore garantendogli continuità nel futuro. Infine, un’impresa socialmente responsabile non punta solo sulla qualità dei prodotti, ma investe sul capitale umano, sull’ambiente e sui rapporti con la comunità. Un impegno che trova visibilità nel Rapporto di sostenibilità, sviluppato secondo le linee guida del Global Reporting Initiative.

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