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AGRICOLTURA IN RIPRESA NEL 2010, MA PESANO CALO DI REDDITO E SPECULAZIONE SU MATERIE PRIME. CRESCONO VALORE AGGIUNTO (1,9 PUNTI), PRODUZIONE (2,2%) E OCCUPAZIONE (+1,9%), MA ANCHE I COSTI PER LE AZIENDE: LO DICE L’INEA. CIA: 60% DI AZIENDE INDEBITATE

Un settore in ripresa nel 2010, però ancora fortemente condizionato dal calo del reddito, in controtendenza con gli altri paesi Ue, e, mentre crescono produzione, valore aggiunto e occupazione, le aziende subiscono i pesanti aumenti dei costi produttivi: è la fotografia dell’agricoltura italiana scattata dal “Rapporto sullo stato dell’agricoltura” n. 8 dell’Inea (Istituto nazionale di economia agraria), presentato oggi a Roma. Di positivo nel 2010, in un contesto di timida ripresa dell’economia nazionale, c’è stata per il settore la crescita del valore aggiunto, a prezzi correnti di 1,9 punti, a fronte di un aumento del valore della produzione (+2,2%) e dei consumi intermedi (+2%). L’occupazione agricola è inoltre aumentata di 17.000 unità (+1,9%), di cui 13.000 stranieri (+16,8% rispetto al 2009). Ma sul comparto pesano le forti oscillazioni delle materie prime sui mercati internazionali.

Dopo l’impennata delle materie prime agricole nel 2010, infatti, il trend è in rallentamento nel 2011 ma ci sono “scosse di assestamento che creano una situazione di incertezza che non giova certo all’impresa agricola” e i redditi agricoli sono in sostanziale crollo. Intanto però è in atto un profondo cambiamento nella conduzione delle imprese per rispondere alle sfide del mercato globale e sempre più gli imprenditori puntano sulla diversificazione, e, per esempio, di registra una crescita del 20% della vendita diretta e del 12% della coltivazione di prodotti certificati di qualità.

Le organizzazioni agricole e la cooperazione di settore presenti all’illustrazione del rapporto insistono sull’impatto negativo delle speculazioni (“i costi sono più dei ricavi, dicono all’unanimità”) e richiedono una seria politica nazionale che aiuti il settore. Anche Federalimentare sottolinea come “l’industria non possa essere ostaggio dei trader internazionali, la volatilità dei prezzi comporta volatilità di magazzino e conseguenti difficoltà verso il sistema creditizio”.

Per la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori, “i segnali di ripresa, seppure timidi, ci sono stati. Ma gli effetti dell’aumento della ricchezza prodotta, che questi indicatori ci descrivono, tardano a manifestarsi nei campi, dove gli agricoltori continuano ad accusare un pesante calo del reddito, in netta controtendenza con gli altri Paesi dell’Ue. Un trend decisamente condizionato dall’altissima percentuale di aziende fortemente indebitate: 980.000 imprese su 1.620.000, come risulta dallo studio Inea, presentano un’eccessiva esposizione debitoria nei confronti dello Stato. È su queste realtà economicamente molto fragili - spiega la Cia - che rappresentano più del 60% delle nostre aziende, che si abbatte maggiormente la scure dei costi produttivi, condizionati fortemente dalla volatilità dei prezzi delle commodity”.

“Solo pochissimi prodotti hanno beneficiato dell’aumento dei prezzi all’origine (cereali, mais, riso e zucchero), mentre tutti gli altri (soprattutto quelli ad alta intensità tecnologica) hanno subito gli effetti degli aumenti dei prezzi di fertilizzanti, mangimi e carburanti”, rileva Alberto Giombetti, coordinatore della Giunta nazionale Cia. Il balzo in avanti complessivo delle quotazioni delle materie prime contribuisce quasi sempre a ingigantire le voci di spesa delle imprese. Ma, sottolinea la Cia, quella che grava su tutto il mondo agricolo, senza risparmiare nessuno è il petrolio: l’escalation del carburante, che ha caratterizzato tutto il 2010 e continua a registrare un record dietro l’altro anche nel 2011, ha effetti devastanti nel settore. Anche perché, se sono le serre e le stalle a subire i danni più pesanti, è tutta l’agricoltura a pagarne fortemente le spese, visto che il gasolio agricolo è utilizzato per l’alimentazione di tutti i mezzi meccanici, a partire dai trattori. E si fa indispensabile soprattutto nei mesi in cui si avvicendano operazioni di semina, concimazione, diserbo, irrigazione, trinciatura e raccolta.

In particolare, dice la Cia, mentre tutte le colture indiscriminatamente pagano a caro prezzo l’aumento della bolletta energetica, è la zootecnia -a risentire maggiormente dell’impennata delle quotazioni di mais (+61%), soia (+37%) e orzo (+25%), che gonfiano in modo spropositato il prezzo dei mangimi, riversandosi oltreché sui redditi degli allevatori, anche sui prezzi delle carni, soprattutto laddove si tratta di produzioni sviluppate negli allevamenti intensivi di maggiori dimensioni. Ma ciò che penalizza l’Italia rispetto ai suoi competitor europei, è “la forte asimmetria - conclude Giombetti - nell’andamento delle quotazioni dei mezzi tecnici”. Ciò spiega le maggiori difficoltà della nostra agricoltura sul fronte dei prezzi dei prodotti chimici e dei concimi. Basta pensare che i concimi per il grano duro, per cui siamo i primi produttori europei, costano agli agricoltori italiani il 17% in più della media Ue, mentre un fertilizzante per il mais viene pagato in Italia mediamente il 16,6% in più.

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