Come anticipato ieri, dal 6 agosto, il Green Pass - che certifica la vaccinazione, la negatività o la guarigione negli ultimi sei mesi dal Covid-19 - sarà obbligatorio per svolgere la stragrande maggioranza delle attività, compreso sedersi al tavolo di un bar o di un ristorante. Il decreto, firmato ieri dal Premier Mario Draghi dopo un Consiglio dei Ministri in cui c’è stato solo da formalizzare quanto deciso dalla cabina di regia, prevede che, per sedersi all’interno di bar e ristoranti, si debba esibire il Green Pass, ma non servirà il ciclo vaccinale completo, sarà sufficiente la prima dose. Inoltre, non ce ne sarà bisogno in caso di consumo al banco o all’aperto, mentre lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 dicembre. Nell’Italia in bianco, e che in bianco, nel bel mezzo della stagione turistica, punta a rimanere, resta in vigore, per quanto ce ne stessimo quasi dimenticando, il sistema dei colori (giallo, arancione e rosso), ancorato però a parametri diversi: se prima erano tarati sull’incidenza dei contagi, adesso si guarderà essenzialmente alla pressione sugli ospedali e al numero di pazienti Covid nei reparti ordinari e nelle terapie intensive.
Una piccola rivoluzione estiva che, come è facile immaginare, è destinata a portare nuovi disagi, specie per la categoria che, fin qui, ha pagato il conto più alto a questo anno e mezzo di pandemia, quella dei ristoratori e dei gestori di bar, pub ed enoteche. Con ripercussioni, ovviamente, su tutta la filiera del wine & food, tanto che la reazione più dura, al momento, arriva da Filiera Italia, l’alleanza delle eccellenze agroalimentari italiane, che riunisce insieme alcuni dei principali brand del settore, da Campari Group a Donnafugata, da Rummo alla Marchesi Antinori, che del decreto dà un giudizio “assolutamente negativo”. Al centro della critica, c’è un obbligo che, a ben guardare, riguarda bar e ristoranti, cinema e teatri, piscine e stadi, ma non i mezzi di trasporto pubblici, dove le distanze sono impossibili da mantenere ed il rischio di nuovi contagi altissimo.
Secondo il Consigliere Delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, “nonostante ne abbiamo sempre compreso il principio, decisamente non soddisfa l’obbligo imposto nei fatti per i soli ristoranti al chiuso. In questi due anni di pandemia i ristoratori hanno dimostrato di essere pronti a compiere sacrifici, quando questi sono stati richiesti sulla base di fondamenti scientifici non discriminatori e nell’interesse generale - prosegue Scordamaglia - oggi invece non si ha il coraggio di imporre una misura necessaria da subito per tutti i servizi e le situazioni di reale rischio di contagio, per cui non si interviene immediatamente sui mezzi di trasporto, sulla scuola, sugli uffici pubblici (rimandati senza data) e lo si applica dove invece è meno utile ma più facile”. Ad aggravare la critica, ricorda Filiera Italia, il dossier del Cts - Comitato Tecnico Scientifco sui maggior luoghi di contagio, che non è ancora stato reso pubblico, ma che potrebbe accertare, o meno, che siano proprio i ristoranti i luoghi più a rischio. “Il comitato tecnico scientifico afferma che il ristorante sia più pericoloso di mezzi pubblici affollati? Non ci crediamo - dice il consigliere delegato di Filiera Italia - i sacrifici si fanno se le richieste sono credibili e queste non lo sono. Se davvero si ritiene che la campagna vaccinale abbia bisogno di un’ulteriore spinta - aggiunge Scordamaglia - si estenda l’obbligatorietà della vaccinazione, doppia o singola dose, per accedere a ogni tipo di servizio, non possiamo pensare che il Green Pass serva per consumare al tavolo di un ristorante, ma non per bere in piedi ammassati in un pub. Il rallentamento della campagna vaccinale ha molti fattori, dai protocolli sanitari alla logistica, non possiamo pensare che la soluzione sia una duplice discriminazione - dice ancora il consigliere delegato di Filiera Italia - quella contro chi ancora non è riuscito ad avere una prima dose (17 milioni di italiani), si prenda ad esempio l’Umbria dove i ragazzi attendono da maggio di essere chiamati alla vaccinazione, e quella contro una categoria, quella della ristorazione, che ancora una volta sarebbe l’unica a essere colpita”.
L’auspicio di Filiera Italia era quello che si seguisse quanto richiesto dalla conferenza Stato Regioni, e cioè che il Green Pass venisse usato ai cambi di fascia, non in zona bianca, per evitare le chiusure. “Quanto alle sanzioni - conclude Scordamaglia - si parla di 1.000 euro di multa, ci auguriamo siano a carico di avventori non dei titolari degli esercizi, i ristoratori non sono certo agenti di polizia. Ovviamente nel decreto ci dovrà essere anche l’obbligatorietà vaccinale del personale che lavora nei ristoranti, altrimenti sarà impossibile gestire i nuovi obblighi con una normativa come l’attuale che non consente al datore di lavoro neanche di chiedere se i dipendente sono vaccinati. Si diano 10 giorni in più per l’entrata in vigore o sarà caos totale”.
Ieri, quando le misure erano ancora al vaglio del Consiglio dei Ministri, si era espressa sul tema Green Pass anche la Fipe - Federazione Italiana Pubblici Esercizi/Confcommercio, prospettando, però, un uso decisamente diverso, come del resto aveano chiesto le Regioni. “Con l’Italia in zona bianca, il Green Pass rappresenta uno strumento straordinario ed efficace sia per riaprire quelle attività al momento ancora chiuse, come le discoteche, sia per consentire l’accesso di un numero più ampio di persone in occasione di eventi culturali o spettacoli”, aveva detto Aldo Cursano, vice presidente Fipe-Confcommercio. “Se invece i livelli di rischio, a cui si sta lavorando sulla base di nuovi parametri, dovessero cambiare in peggio allora, invece di tornare a misure restrittive non più sostenibili, si potrebbe introdurre il Green Pass per riservare l’accesso ad ogni attività esclusivamente alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale. Il green pass va, insomma, utilizzato in chiave positiva e non punitiva”. Alla fine, invece, ha prevalso la linea della cautela, forse eccessiva, che, come aveva ricordato lo stesso Cursano due giorni fa,” rischia di vedere tre milioni di famiglie italiane letteralmente spaccate in due. Al momento infatti ci sono 4 milioni di giovanissimi tra i 12 e i 19 anni non ancora vaccinati. Non si tratta di no vax ma di persone in attesa del loro turno. Molti di questi ragazzi passeranno le vacanze con i genitori, in larga parte già vaccinati, ma non potranno andare neppure a mangiare una pizza con loro. Questo cortocircuito è dato dalla fretta con la quale si vuole approvare una norma che, così congegnata, non porterà gli effetti attesi”.
La Coldiretti, analizzando l’impatto delle decisioni del Governo per scongiurare nuovi lockdown, ricorda come siano circa 14 milioni gli italiani sopra i dodici anni che saranno costretti a rinunciare a sedersi al tavolo in bar e ristoranti al chiuso, dove (dal 6 agosto, ndr) possono trovare posto solo le persone che hanno avuto almeno una somministrazione, sono guarite dal Covid nei sei mesi precedenti o hanno un tampone negativo. La misura - sottolinea la Coldiretti - interessa 360.000 ristoranti, trattorie, pizzerie, agriturismi dei quali solo poco più della metà dispone di spazi all’aperto, dove tuttavia sono notevolmente aumentati i coperti grazie alle flessibilità concessa sull’utilizzo degli spazi pubblici. In difficoltà - continua la Coldiretti - sono soprattutto gli esercizi situati nei centri urbani, stretti tra traffico ed asfalto, mentre al contrario gli agriturismi godono della disponibilità di grandi aree all’esterno che consentano di garantire al meglio le distanze.
La ristorazione - ricorda la Coldiretti - è tra i settori più colpiti dalla pandemia, con i consumi alimentari degli italiani fuori casa che, nel 2020, sono scesi al minimo da almeno un decennio, con un crack senza precedenti per bar, ristoranti, trattorie e agriturismi, che hanno dimezzato il fatturato (-48%) per una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro nel 2020. Una situazione che si ripercuote a cascata sull’intero sistema agroalimentare, con oltre un milione di chili di vino e cibi invenduti nell’anno della pandemia. La drastica riduzione dell’attività - conclude la Coldiretti - pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.
Ci sono poi settori che, con il Green Pass, avevano già dovuto fare i conti, come quello fieristico, dove è obbligatorio, ad esempio, per l’accesso al quartiere di Veronafiere, che ha adottato uno specifico protocollo safetybusiness, contenente le linee guida più aggiornate in materia di prevenzione contro il Covid-19, a cui si aggiunge la certificazione verde. Una serie di misure adottate già dal 15 giugno, giorno della ripartenza del settore fieristico a livello nazionale, e applicate alle manifestazioni che si sono svolte, tra cui Vinitaly OperaWine e Vinitaly Preview. “Veronafiere è da sempre impegnata nella tutela della salute e della sicurezza dei propri espositori e visitatori, a maggior ragione con l’emergenza sanitaria in corso”, commenta Giovanni Mantovani, dg Veronafiere. “Condividiamo la decisione del Consiglio dei ministri di estendere l’obbligatorietà del Green pass al settore fieristico, che ha risentito pesantemente dello stop forzato lo scorso anno. Ci auguriamo che questa misura consenta alle imprese del made in Italy il ritorno al business in fiera”.
Anche “il settore dei matrimoni e degli eventi privati è stato tra i primi a sperimentare l’utilizzo del Green Pass, fin dal 15 giugno”, come ricorda Serena Ranieri, presidente Federmep (Federazione delle Imprese e dei Professionisti del Settore dei Matrimoni e degli Eventi Privati). “Il Governo ha deciso che, dal 6 agosto, la certificazione verde sarà necessaria anche per tutta un’altra lunga serie di attività, con l’esenzione per i bambini fino ai 12 anni. Peccato - fa notare polemicamente Serena Ranieri - che il decreto Sostegni Bis, approvato ieri dal Senato, preveda, per la partecipazione ai banchetti conseguenti le cerimonie, l’esenzione solo per i bambini fino a 6 anni e solo nel caso in cui i partecipanti all’evento siano meno di 60. Oltre al danno, per uno dei settori più colpiti dall’emergenza economica, con cali di fatturato che l’anno scorso hanno toccato il 90%, sta per arrivare la beffa, perché il Green Pass, solo per i nostri eventi, resterebbe obbligatorio anche per i bambini. Chiediamo al Governo e al Parlamento di mettere al più presto una toppa, le nostre imprese non possono continuare ad essere le più penalizzate dalle norme anti-covid. Non siamo noi gli untori”, conclude Ranieri.
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