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CONSUMI

Alimentare, carrelli più leggeri, ma più costosi: +8,4% per il food e +5,3% per il beverage

Il caro-spesa fa salire di 8 miliardi il conto per le famiglie italiane, secondo l’Osservatorio sui consumi alimentari Ismea-NielsenIQ
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Nel 2023 gli italiani hanno comprato di meno, eppure hanno pagato di più  

Nel 2023 il carrello della spesa degli italiani si conferma più oneroso, ma anche più leggero, con volumi di acquisto in flessione per quasi tutte le categorie e prezzi sensibilmente più elevati: la spesa delle famiglie italiane per generi alimentari e bevande ha fatto segnare, su base annua, un incremento record dell’8,1% (+8,4% il food, +5,3% il beverage). Seppure in rallentamento nell’ultimo trimestre dell’anno, i prezzi alimentari hanno mantenuto un ritmo di crescita sostenuto nel 2023, determinando un aggravio di spesa a carico delle famiglie di oltre 8 miliardi di euro. Ma sembrano esserci deboli segnali di speranza: a febbraio si sono manifestati i primi segnali di stop al caro-carrello. Ecco gli ultimi dati dell’Osservatorio sui consumi alimentari by Ismea-NielsenIQ. 
In questo contesto, caratterizzato anche da una maggiore spinta promozionale nella grande distribuzione organizzata, è cresciuto il ruolo della marca del distributore, con uno share che si è portato a d un terzo del fatturato, grazie ad una performance migliore rispetto a quella della marca industriale. Tra i diversi canali, il supermercato mantiene il primato, con il 40% di quota in termini di fatturato e con un giro d’affari cresciuto del 9,5% sul 2022. Crescono del 7,8% le vendite negli ipermercati (al 23% l’incidenza in valore), seguiti dai discount al 22% di quota (+9,3% gli incassi), canale in cui si è avuto un forte incremento delle affluenze. Il piccolo dettaglio tradizionale (9% di share) continua, invece, a perdere appeal, cedendo sia per volumi sia per fatturati. È l’unico, tra i canali distributivi, che ha accusato una riduzione del giro d’affari, perdendo lo 0,6% sul 2022, oltre a quello non fisico dell’e-commerce (-4,5%).
Tra le diverse categorie merceologiche, si registrano aumenti a doppia cifra della spesa per oli di oliva (+32% gli extravergini), uova (+14,1%), latte e derivati (+11,7%) e prodotti a base di cereali (+11,7%), con picchi del +20,9% per il riso. Significativa, ma più frenata, la crescita del reparto carni (+6,7%), con incrementi per tutte le categorie, ma più evidenti per quelle avicole. Gli acquisti di prodotti ortofrutticoli hanno generato un esborso dell’8,8% più elevato sul 2022, con incrementi soprattutto per patate e conserve di pomodoro (più frenata la dinamica della spesa per la frutta).
Coppie e single over 55 sono apparsi meno attenti all’impatto degli acquisti sullo scontrino, registrando anche volumi superiori a quelli del 2022. I giovani (categoria “pre-family”) hanno tenuto, invece, a freno la spesa riducendo significativamente i volumi d’acquisto, mentre le famiglie con figli (ancor più quelle con bambini), per affrontando rinunce, non sono riusciti a contenere la spesa, che resta, comunque, superiore a quella del 2022.
 Del resto, nel 2023, è stato il largo consumo, per lo più costituito dai generi alimentari, la categoria in assoluto più inflattiva, secondo l’86% dei responsabili di acquisto delle famiglie italiane. Nel vortice dei rincari sono finiti anche altri capitoli del bilancio familiare - a detta degli intervistati - in particolare abitazione e fuori casa (bar, ristoranti e pizzerie), mentre l’impatto del caro-vita è stato più mite, nella percezione dei consumatori, su abbigliamento, trasporti, farmaceutico e strutture ricettive. L’aumento medio nel carrello della spesa percepito dalle famiglie è stato di quasi l’11% nel 2023. Ma i prezzi di febbraio più freddi, come certificano i dati Istat sull’inflazione alimentare al +3,8% contro il 5,8% di gennaio, aprono prospettive migliori anche sul fronte dei consumi. Un segnale importante è anche il ritorno della leva promozionale, che sta aumentando in termini di incidenza sulle vendite grocery della grande distribuzione.
Se pressoché tutte le famiglie italiane riconoscono nel largo consumo il settore maggiormente soggetto agli aumenti di prezzo, di contro, poche di loro si sono dichiarate disposte a fare rinunce nei prossimi mesi su questa voce di spesa. Tra le strategie per cercare di limitare l’impatto sullo scontrino finale, le più adottate sono state la razionalizzazione della spesa, mediante tagli al superfluo e massimizzazione del rapporto qualità/prezzo, e la preferenza accordata agli ipermercati per usufruire di promozioni, mentre relativamente meno utilizzate sono state le strategie di downgrading qualitativo del carrello o di diminuzione della frequenza/quantità degli acquisti. Al netto della variabile prezzo, la provenienza della materia prima è l’aspetto a cui si presta maggiore attenzione: indicato da quasi il 40% degli intervistati supera anche il fattore gusto, che a sua volta stacca la marca e le certificazioni di qualità e sostenibilità. Relativamente alle diverse merceologie, frutta, verdura, pasta, olio extra vergine di oliva sono i prodotti il cui consumo risulta meno comprimibile, pur in presenza di rincari avvertiti come elevati: il consumatore non è disposto a rinunciare neanche alle carni bianche, al latte e alle uova, mentre le altre proteine animali (con scontrini che possono essere più importanti) come formaggi, pesce, carne rossa e salumi, oltre al vino, sono state invece indicate come categorie più sacrificabili.

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