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ALLA RICERCA DEL VINO PERDUTO: DALLA TOSCANA ALLA GEORGIA UNA SPEDIZIONE PER CARPIRE I SEGRETI DEL VINO ANCESTRALE PER ECCELLENZA E PER SOSTENERE IL PRESIDIO SLOW FOOD DELLE REGIONI VITICOLE DI KAKHETI E IMERETI

Alla ricerca del vino perduto: potrebbe essere la parola d’ordine della spedizione toscana che si appresta a raggiungere la Georgia per carpire i segreti di quello che resta il vino ancestrale per eccellenza e per promuovere il presidio georgiano di Slow Food nato per preservare le regioni viticole di Kakheti e Imereti. Da oggi, “Cammino Autoctuve” (www.autoctuve.it), l’associazione di viticoltori della Maremma e dell’arcipelago toscano, che tutela la tradizione vitivinicola e i vitigni di antica coltivazione, invierà in Georgia l’enologo Marco Stefanini e l’agronomo Ugo, dell’azienda elbana Acquabona, nelle regioni di Kakheti e Imereti, per visitare le aziende viticole della zona e studiare le tecniche, i disciplinari di produzione e le caratteristiche dei vini prodotti nella culla della viticoltura e dell’enologia mondiale.
Un viaggio che non sarà soltanto un’esperienza professionale, ma anche l’occasione di rafforzare il Presidio Slow Food, nato nel 2008, proprio nelle regioni viticole di Kakheti e Imereti in Georgia per salvaguardia questo prezioso patrimonio.
La Georgia è considerata la culla della viticoltura: le radici della sua cultura enologica affondano infatti nella preistoria. In questa ex-repubblica sovietica si usa ancora un antico sistema di vinificazione, unico al mondo e immutato da millenni. Una tecnica che prevede la lunga fermentazione nei kvevri, grandi orci di terracotta senza manici, completamente interrati. Questa tradizione straordinaria sta scomparendo, di pari passo con l’antico sapere artigianale legato alla costruzione delle anfore.
L’obiettivo della missione dalla Toscana in Georgia è promuovere la commercializzazione del vino in anfora del Presidio e migliorare le tecniche di produzione senza stravolgerne le caratteristiche, ma nel pieno rispetto delle pratiche tradizionali e del patrimonio culturale di cui questi vini sono custodi.
Info: www.fondazioneslowfood.it 

Focus - L’antica arte della vinificazione in anfora
Oltre che simbolo della cristianità, in Georgia il vino è soprattutto simbolo del convito, cioè la forma di socialità che caratterizza la cultura georgiana e che ruota attorno alla figura del Tamadà: il pater famiglia, colui che inneggia al vino. In quella che si pensa essere la culla della vitis vinifera, la madre primordiale di tutte le viti, si continua a consumare vino prodotto in anfora (kvevri in Kakheti e in Kartli o churi in Imereti e in Racha), una pratica che ha ben 8.000 anni di storia e che è quasi scomparsa nel resto del mondo colonizzato dalla vite. Si possono riconoscere dei prototipi di kvevri nelle grandi giare d’argilla trovate negli insediamenti neolitici della Georgia meridionale (Sulaveris-Gora, Chramis Didi-Gora) e nelle anfore prodotte nel Caucaso meridionale nel III-IV secolo a.C. Oggi queste anfore si trovano ancora in quasi tutte le case di campagna delle regioni viticole georgiane, dove servono per produrre il vino per il proprio consumo, ma le grandi cooperative vitivinicole, nate ai tempi dell’Unione Sovietica, quando la Georgia era il serbatoio vinicolo delle repubbliche russe, e sopravvissute al crollo dell’Unione, privilegiano vitigni più produttivi e tecnologie più moderne e convenzionali. Per questo motivo dal 2008 le regioni di Khakheti e Imereti sono tutelate dal Presidio Slow Food, in collaborazione con Cammino Autoctuve e The Biological Farming Association Elkana.
La vinificazione in anfora, peraltro, è una tecnica costosa e problematica: basta pensare a quanto possa essere difficile lavare dopo la fermentazione un simile serbatoio d’argilla, totalmente sprofondato nella terra e accessibile soltanto attraverso una piccola imboccatura. Anche la produzione delle anfore richiede un lavoro molto impegnativo, che esige precisione, pazienza un grande sforzo fisico (sono modellate a mano senza usare il tornio da vasaio e dopo l’asciugatura vengono cotte in speciali forni di ceramica) ed attualmente sono solo cinque i vasai in attività. Nella Georgia orientale e particolarmente in Kakheti i vini si fanno tradizionalmente in locali pianoterra oppure seminterrati, con dei grossi muri di pietra e con le finestre piccole oppure del tutto senza finestre, per mantenere all’interno la temperatura più costante possibile (marani).
Nella Georgia occidentale, dove il clima è più mite, le anfore si sotterrano direttamente nel suolo “a cielo aperto” nel frutteto oppure in una parte di cortile ombreggiata dagli alberi o sotto una tettoia aperta (chur-marani). L’uva viene pigiata a piedi scalzi e il mosto fiore si raccoglie sul fondo di una vasca di legno o di pietra, dove attraverso un foro viene travasato nei kvevri appositamente preparati. Le grandi anfore vengono così riempite ed interrate in modo che perfino l’orifizio del collo rimanga sotto il livello del suolo, per consentire la fermentazione prima e l’affinamento poi dei vini, sia bianchi sia rossi. Le pratiche sono leggermente differenti a seconda delle tradizioni locali: ad Imereti, per esempio, al nord del paese, i vini vanno in anfora senza bucce, mentre nell’area di Khakheti si pratica la fermentazione e l’affinamento sulle bucce. Dopo due mesi il vino viene travasato nuovamente in un’altra anfora pulita, dove matura per altri 2 o 3 anni, ma può capitare che stagioni perfino per oltre 20 anni. Malgrado la chiusura ermetica, le pareti porose d’argilla dei kvevri consentono una lenta ossidazione del vino ed una limitata evaporazione. Perciò ogni quindici giorni circa si controlla il livello e in caso di necessità si rabbocca, in modo che l’anfora sia sempre piena fino all’orlo. I vini che derivano dalla maturazione in anfora e dalle diverse pratiche locali danno, evidentemente, vita a vini unici e decisamente particolari.

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