Con l’avvento del web, in soli 10 anni, il processo d’acquisto è rivoluzionato, e l’innovazione più grande dell’era digitale è, con ogni probabilità, l’informazione. Se prima dell’avvento e della popolarità di internet il processo d’acquisto si esauriva in tre fasi (stimolo, primo momento della verità sullo scaffale e secondo momento della verità nell’esperienza di consumo), oggi bisogna aggiungere un “momento zero”, in cui il cliente si informa (blog, video, social), e tutto parte sempre, necessariamente, da un motore di ricerca, ossia, nell’85% dei casi, da Google, che oggi punta forte sulla promozione delle aziende agroalimentari, come hanno raccontato al workshop “Web marketing: strumenti e strategie vincenti”, di scena al “Wine2Wine”, il forum di Veronafiere (a Verona, il 3 e 4 dicembre: www.wine2wine.net), Luca Curtarelli e Stefano Mazzarese di Google Italia e Jacopo Matteuzzi di Studio Samo.
Per capire la portata e il peso del web, basta qualche dato, snocciolato da Luca Curtarelli: “in 60 secondi, ad esempio, su Google ci sono state circa 2 milioni di ricerche. Dovrebbe bastare a capire che internet non è una prospettiva futura, ma una risorsa fondamentale del presente: oggi, una volta creato il bisogno di qualcosa, non basta farsi trovare sullo scaffale, ma bisogna presidiare il web, in tutte le sue forme. Prima di acquistare un qualsiasi prodotto infatti, il 27% dei consumatori valuta almeno un sito, il 42% da 2 a 4 siti, ed il 31% più di 5 siti, una percentuale che cresce enormemente con la crescita del valore del bene da acquistare, come può essere una bottiglia di vino di qualità”. Grande impatto, negli ultimissimi anni, l’ha avuto il mobile, tanto che “oggi il proprio smartphone, per molti, è diventato un vero e proprio shop assistant, tanto che un consumatore su tre - spiega Curtarelli - consulta internet anche dentro il punto vendita, preferendolo al commesso”.
Ma qual è il peso reale dell’online sugli acquisti? “Il cosiddetto “Ropo”, ossia Research Online Purchase Offline, ci racconta che il 40% delle vendite nascono online - continua Curtarelli - e per i beni di lusso si arriva addirittura al 74%, e il ritorno in termini economici, fatto 100 l’investimento in web marketing, può arrivare addirittura a 600 nell’online e 100 nell’offline, ossia 7 volte l’investimento iniziale”. In Italia, gli esempi migliori, almeno finora, arrivano dal mondo della moda: “marchi come Burberry, Hugo Boss, Dior e Zegna rappresentano esempi eclatanti di come creare brand awareness, usando ogni sorta di mezzo, dai social alle newsletter, integrando le diverse piattaforme, non necessariamente puntando sulle vendite online”.
Ma qual è il rapporto tra il food & drink made in Italy e Google? Per capirlo, sono necessarie alcune premesse: “innanzitutto - spiega Stefano Mazzarese - possiamo considerare il motore di ricerca come uno specchio della realtà: le ricerche online sono strettamente correlate con l’andamento dell’economia, ma anche con situazioni o eventi particolarmente rilevanti (come, ad esempio, la bolla immobiliare negli Emirati Arabi), e allora la prima domanda da porci è: quali sono i mercati che potrebbero essere maggiormente interessati? Ed è qui che l’analisi delle ricerche diventa fondamentale. La particolarità del caso italiano è che nei principali mercati (Usa, Germania, Gran Bretagna, Giappone), se la ricerca correlata alle key word “italian wine” spesso supera quella di “french wine”, quando si analizza la ricerca di denominazioni o territori specifici, il paragone con i nostri competitor diventa impietoso. “Bordeaux” è cercato decine di volte più di “Chianti”, che perde persino contro il “Riesling” tedesco. Impietoso, poi, il paragone tra “Prosecco” e “Champagne”.
“Diventa importante, quindi, andarsi a posizionare nel migliore dei modi, giocando sulle necessità del mercato, magari legando il nome del Prosecco, a livello di key word, proprio a quello dello Champagne - conclude Mazzarese - perché ciò che manca evidentemente è la conoscenza del prodotto Prosecco”. Sempre tenendo ben chiari tre atout: la mobilità, l’uso dei social e quello di You Tube, forse la miglior piattaforma di branding che ci sia. Del resto, l’aspetto fondamentale di Google sta nella capacità di far dialogare l’azienda con l’utente, perché l’importante non è vendere online, ma rendere efficiente la comunicazione del marchio.
In conclusione, come spiega Jacopo Matteuzzi di Studio Samo, “per essere visibili, e quindi incisivi, bisogna lavorare sulla Search Engine Optimization (Seo) e fare di tutto per comparire nei risultati organici, quelli imparziali e non acquistabili. Per farlo, bisogna concepire un sito che sia pertinente e rilevante con la key word che ci interessa: pertinente con la parola ricercata e rilevante, in termini di sito, rispetto alla concorrenza”. Per capire quanto sia importante “piazzarsi” bene, “basti pensare che il 60% dei click va ai primi 3 risultati, e il 91,5% non va oltre i risultati della prima pagina. Una buona strategia, però, è quella di scegliere parole chiave adeguate, seguendo la strategia della “coda lunga”, ossia puntare su tante parole chiave specifiche, piuttosto che su poche generiche. Meglio, per restare in tema, puntare su “produttore di vino biologico e naturale” che semplicemente su vino”.
Una volta compresa l’importanza, però, bisogna avere un sito web all’altezza: “che contenga le parole chiave che ci interessano sia nell’indirizzo che nei contenuti, che abbia una struttura gerarchica e contenuti ottimizzati. Inoltre, per creare un rapporto duraturo con i consumatori, la cosa migliore è puntare su un blog ospitato dal proprio sito: alla lunga, oggi, è diventato importantissimo, ma bisogna seguire delle regole, dai titoli dei post alle strategie sui contenuti, fino all’utilizzo dei social per creare un effetto moltiplicatore”.
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