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ANIMALI SELVATICI, UN “FLAGELLO” DA MILIONI DI DANNI ALL’AGRICOLTURA. IN ARRIVO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI UNA LEGGE BIPARTISAN CONTRO L’ALLARME: UN BENE PER GLI AGRICOLTORI (CONFAGRICOLTURA), UN MALE PER GLI ANIMALISTI (LIPU, ENPA, LEGAMBIENTE, LAV)

“Tolleranza zero” verso le razzie dei cinghiali e degli animali selvatici nei campi e negli allevamenti: ha presentato così ieri il relatore della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, Monica Faenzi, il documento bipartisan che ha concluso oltre due anni di indagine conoscitiva sui danni causati dalla fauna selvatica, a cui seguirà, ha annunciato il presidente della Commissione.

Paolo Russo, un’iniziativa legislativa, al rientro dalla pausa estiva, “con lo stesso spirito” per contrastare un “flagello” che nelle sole aree protette crea danni per 2,2 milioni di euro secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca Ambientale). E subito non potevano che accendersi gli animi dei due fronti contrapposti del sì e del no: da un lato, Confagricoltura sottolinea che “i produttori agricoli lamentano perdite di capi allevati e devastazioni delle coltivazioni, sia da parte della fauna selvatica come ungulati, lupi, storni, sia da parte di animali rinselvatichiti come cani, nutrie, piccioni”, e che bisogna partire dalla prevenzione con una mappatura precisa del carico di selvaggina sostenibile nei diversi territori, per prevedere azioni di contenimento; dall’altro, gli animalisti, dalla Lipu all’Enpa, da Legambiente alla Lav, protestano contro la possibilità di ammettere la caccia anche di specie “assolutamente protette” come i lupi. Ma anche sui numeri si discute: Monica Faenzi ha sottolineato che l’assenza di dati certi è una delle difficoltà principali nel gestire le specie selvatiche e propone un censimento nazionale condotto dall’Ispra.

Il documento bipartisan focalizza l’attenzione su cinghiali, storni e nutrie ma si occupa anche della crescente emergenza lupi, e, tra le proposte, prevede una banca dati a cura dell’Ispra per consentire di conoscere l’entità del fenomeno, oggi difficile da stimare, lo stop alle immissioni a scopo venatorio, in particolare per i cinghiali, la collaborazione con gli agricoltori e l’istituzione di zone cuscinetto a margine delle aree protette. Inutile dire che tali proposte raccolgano il plauso degli agricoltori di Confagricoltura, che si augura che dall’approvazione bipartisan dei risultati dell’indagine “possa scaturire, in breve tempo, un condiviso articolato normativo. Bisogna partire dalla prevenzione - ribadisce l’organizzazione degli imprenditori agricoli - non solo con interventi di difesa delle coltivazioni e degli allevamenti, ma soprattutto attraverso una precisa mappatura del carico di selvaggina sostenibile nei diversi territori, in modo da poter sviluppare azioni di contenimento. Occorre, quindi, un nuovo e condiviso modello di gestione degli interventi di prevenzione ed indennizzo dei danni della fauna che riconosca il ruolo centrale svolto dalle imprese agricole sul territorio”.

Per finanziare questi interventi la Commissione Agricoltura propone di destinare al tema il 50% degli introiti della tassa sulle licenze per la caccia e parte delle risorse del Fondo di solidarieta nazionale per le calamità naturali. Già una legge del 2000 (la 288) prevedeva stanziamenti di 5,2 milioni in tre anni, mai avvenuti. “Immaginate se i cinghiali invece di danneggiare i campi e le greggi creasse problemi a grandi imprese come la Fiat, la sensibilizzazione sarebbe molto maggiore - ha detto Russo - mentre i poveri agricoltori sono sempre costretti ad arrangiarsi”.

Ma, il fatto che alcune specie protette come i lupi possano diventare “terrore delle specie zootecniche” e possibile preda dei cacciatori, non può che far insorgere gli animalisti. “Il lupo non rapppresenta un problema - secondo Antonio Nicoletti, responsabile nazionale delle Aree Protette e Biodiversità di Legambiente - perchè esistono modalità di gestione che possono essere rimodulate sulle caratteristiche territoriali di ciascun’area interessata dalla sua presenza. Molto spesso i fenomeni di uccisone dei capi di bestiame non sono direttamente imputabili al lupo. Si stanno cavalcando ataviche paure, che alimentandosi di scarsa conoscenza scientifica e di una non corretta informazione sull’ecologia del lupo, rischiano di acuire i conflitti tra questa importante specie protetta e la zootecnia”.

Di fronte ai danni causati agli agricoltori dai 600-1.000 esemplari presenti in Italia, i deputati sono infatti pronti a ricorrere alla Convenzione internazionale di Berna. Il testo consente l’abbattimento anche delle “specie assolutamente protette” come i lupi per prevenire “danni importanti al bestiame”. In loro difesa, il presidente della Lipu, Fulvio Mamone Capria, parla dei rischi di “ri-criminalizzare di una specie al limite della sopravvivenza” e ricorda che i danni provengono “in grandissima parte da tre specie: cinghiali, lepri e fagiani”. I danneggiamenti imputabili ai lupi, poi, secondo il consigliere nazionale dell’Ente nazionale protezione animali (Enpa) Annamaria Procacci, valgono “appena 50.000 euro in tutto il territorio nazionale”.

E poi c’è la questione dei numeri. “Il sistema utilizzato per valutare i danni è fuorviante - dice Massimo Vitturi, responsabile Lav settore Caccia e Fauna selvatica - la variazione annuale, e quindi l’eventuale incremento dei danni, infatti, viene accertata unicamente sulla base dei contributi regionali versati per rifondere i danni patiti dagli agricoltori”. Tale sistema non tiene conto, quindi, delle fluttuazioni di mercato dei prodotti agricoli, producendo, di fatto, dati che andrebbero interpretati. Il dato interessante che emerge dall’indagine svolta dalla Commissione Parlamentare, riguarda invece “l’evidenza che l’aumento della presenza dei cinghiali sul territorio è dovuta principalmente alle immissioni a scopo venatorio - sostiene Vitturi - cioè ad uso e consumo dei cacciatori, che si protraggono dagli anni ’50. E’ chiaro quindi che se l’incremento della presenza dei cinghiali sul nostro territorio è responsabilità dei cacciatori, anche la crescita dei danni prodotti all’agricoltura è da imputare agli stessi cacciatori - prosegue Vitturi - deduzione che viene ulteriormente rafforzata dal fatto che quasi il 15% dei danni imputabili alla fauna selvatica (fonte: Conferenza Stato-Regioni), pagati dalle amministrazioni a livello nazionale, è dovuto alle lepri ed ai fagiani, animali allevati al solo scopo di essere liberati in campagna durante la stagione venatoria. E’ evidente, quindi, la necessità di individuare i veri responsabili della situazione, facendo ricadere su di loro anche le implicazioni economiche della pessima gestione faunistica. Bene farebbe il legislatore a predisporre un provvedimento che vieti definitivamente l’introduzione nel nostro Paese di animali alloctoni, anzichè annunciare una generica strategia nazionale di gestione del cinghiale”.

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