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Vinitaly: il vino si scopre strumento integrazione razziale Ricerca conferma: qualità italiana passa anche da mani straniere … Il vino made in Italy nasce nel segno del “melting pot”: da Montalcino a Montefalco, da Barbaresco a Menfi, da Valdobbiadene a Cormons, da Erbusco ad Alghero, l’enologia del Belpaese prospera anche grazie al lavoro di migliaia di stranieri. Nei luoghi del vino più famosi d’Italia vivono e lavorano persone giunte da decine di nazioni diverse, e le città in cui nascono etichette esportate in tutto il mondo si scoprono modelli di integrazione razziale. Lo dice una ricerca a cura delle Città del Vino, l’associazione che riunisce i Comuni a più alta vocazione vitivinicola d’Italia, e di www.winenews.it, realizzata in occasione di Vinitaly, di scena a Verona dal 7 all’11 aprile. Nei principali distretti del vino italiani l’eccellenza del made in Italy vuol dire integrazione razziale, perché qui vivono persone provenienti da tutti i Continenti, che hanno deciso di trasferirvi le proprie vite, i propri affetti, i propri costumi e le proprie abitudini, per lavorare in tutte le professioni, tra chi lavora in vigna, chi fa il manager, la segretaria, il responsabile commerciale, l’enologo, chi gestisce un’attività di ristorazione o ricettiva e, naturalmente chi fa il vigneron. È così che, prima di tutto, attraverso il lavoro, gomito a gomito, avviene l’integrazione razziale. Per scoprire queste “isole felici”, le Città del Vino hanno raccolto le testimonianze relative ad alcune realtà del vino particolarmente significative, scoprendo che sono probabilmente le comunità di piccole e medie dimensioni a vantare una più riuscita integrazione tra italiani e cittadini in arrivo dal resto del mondo. Sono stati presi in esame 16 Comuni: Barbaresco (Cuneo), Guarene (Cuneo), Erbusco (Brescia), Mezzocorona (Trento), Casarsa della Delizia (Pordenone), Cormons (Gorizia), Valdobbiadene (Treviso), Castelvetro di Modena (Modena), Sant’Arcangelo di Romagna (Rimini), Montalcino (Siena), Suvereto (Livorno), Montefalco (Perugia), San Martino sulla Marrucina (Chieti), Castiglione di Sicilia (Catania), Menfi (Agrigento) e Alghero (Sassari). La ricerca evidenzia un buon inserimento lavorativo e sociale degli stranieri, che arrivano spesso a costituire il 10% della popolazione totale dei Comuni analizzati. Il settore agricolo ed agroalimentare italiano da anni ormai utilizza una rilevante quota di manodopera immigrata. In particolare nelle produzioni vinicole la partecipazione dei lavoratori stranieri, soprattutto extracomunitari, è molto rilevante. “Nel 2008 - spiega Alessandro Regoli, direttore di www.winenews.it - è nata l’idea di realizzare come WineNews un’indagine per mettere in luce, attraverso dati e numeri, ma anche e soprattutto raccontando piccole e grandi storie di integrazione lavorativa, come il melting pot nei territori del vino italiani rappresenti una realtà concreta che funziona. Abbiamo iniziato con Montalcino - che si è rivelato un piccolo crogiolo razziale con persone provenienti da 44 diversi Paesi, in una comunità di poco più di 5.000 abitanti, che funziona perfettamente - e oggi presentiamo l’indagine estesa a tutti i principali territori del vino d’Italia, e che dimostra come la città del Brunello sia in buona compagnia”. Il contributo dei lavoratori stranieri si è rivelato decisivo nello sviluppo delle denominazioni di qualità: la valorizzazione dei territori del vino è stata possibile anche grazie alla straordinaria capacità d’integrazione delle comunità straniere che l’industria vinicola - e più in generale quella agroalimentare, di solito strettamente connesse al territorio - hanno promosso e garantito. I lavoratori immigrati svolgono infatti una funzione qualificata nella produzione agricola ed agroalimentare, e parallelamente contribuiscono a compensare il tasso di invecchiamento degli imprenditori agricoli ed arrestare il processo di spopolamento delle aree rurali. Gli alti livelli di specializzazione e il particolare rapporto con il territorio e con gli altri settori socio-economici fanno sì che nella vitivinicoltura più che in altri comparti si ponga il problema dell’invecchiamento dei conduttori agricoli e di conseguenza del ricambio generazionale e del trasferimento generazionale dei “saperi”. Secondo dati analizzati dal professor Simone Vieri dell’Università La Sapienza di Roma, il numero di lavoratori immigrati in agricoltura aumenta costantemente. Nel 1989 erano circa 23.000, mentre nel 2007 raggiungono quota 172.000, con una crescita estremamente rilevante in circa tre decenni. Il trend riguarda in particolare il Veneto, il Friuli e tutte le regioni del Nord ad alta intensità di produzione agricola. Secondo una analisi della Coldiretti la forza lavoro estera nelle campagne italiane rappresenta quasi il 9,15% del totale impiegato in agricoltura, in altre parole nei campi quasi 1 lavoratore su 10 è straniero. Tra gli stranieri nelle campagne prevale la presenza dei lavoratori neo-comunitari, di provenienza principalmente rumena, slovacca e polacca.

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