Arrivano in Italia, per la prima volta, i pomodori pelati “made in China”. E sono anche garantiti “ogm-free”. A lanciare l'allarme è la Coldiretti che al Forum internazionale dell'agricoltura e dell'alimentazione di Cernobbio ha presentato le prime confezioni cinesi di pomodori pelati e pomodorini di collina provenienti dal Salone Sial di Parigi, dove la Cina ha lanciato l'assalto al mercato europeo della pummarola. Dopo le imitazioni a basso costo di giocattoli, rubinetti, abiti e calzature made in Italy, è dunque il prodotto simbolo della dieta mediterranea e delle tavole italiane ad essere pesantemente minacciato dalla tumultuosa crescita del colosso orientale. L'operazione commerciale è orchestrata dalla multinazionale cinese Chalkis Tomato, filiale della Xinjiang Production, fondata dall'esercito cinese, che vuole completare il processo di espansione sul mercato europeo dei derivati del pomodoro iniziato con l'acquisizione di Conserves de Provence, leader francese del settore. La cinese Chalkis è al secondo posto nel mercato mondiale del pomodoro con una capacità di trasformazione di 1,7 milioni di tonnellate e dispone di dieci stabilimenti in Cina, dove la produzione di pomodoro è cominciata nel 1990 e oggi rappresenta il terzo bacino di produzione dopo Stati Uniti e Unione Europea, dove l' Italia mantiene la posizione di leadership. L'Italia, con una produzione di 5,8 milioni di tonnellate, rischia dunque di vedersi scippare una componente fondamentale della propria tradizione alimentare e territoriale, anche perché accanto al pomodoro pelato stanno per arrivare anche i “pomodorini di collina”, prodotti dalla Pollo Ltd, anche questi rigorosamente made in China. Un'anteprima che presuppone lo sbarco dell' intera gamma di prodotti che comprende tra l' altro pelati, polpe, sughi e concentrati di pomodoro. E, per superare le diffidenze dei consumatori europei, le industrie alimentari cinesi arrivano anche a garantire in etichetta l'assenza di organismi geneticamente modificati (Ogm) in un Paese dove le coltivazioni biotech crescono a ritmi impressionanti. "La concorrenza cinese va combattuta con la trasparenza di mercato - ha detto il presidente della Coldiretti, Paolo Bedoni - e per questo bisogna rendere subito operativa la legge che obbliga ad indicare in etichetta l'origine territoriale del pomodoro. Non bastano dazi e tariffe, ma occorre dare la possibilità ai consumatori di fare scelte consapevoli. Il pomodoro trasformato è un prodotto importante nella spesa degli italiani, tanto che le famiglie destinano circa 400 milioni di euro all' anno per gli acquisti domestici di circa 30 kg tra passate, polpe, pelati e concentrato di pomodoro. Le passate di pomodoro sono la voce più rilevante e si spendono circa 166 milioni di euro (oltre il 40%), per le polpe 106 milioni di euro (25%) e per i pelati oltre 80 milioni di euro, mentre si sono progressivamente ridotti i consumi di concentrato e di altri prodotti che con meno di 15 milioni di euro rappresentano solo il 3,5% della spesa in pomodori trasformati”.
E’ allora evidente che il rischio della delocalizzazione produttiva del made in Italy non riguarda solo l'agricoltura, ma anche l'industria alimentare. Lo ha sottolineato Bedoni, sostenendo l'esigenza che proprio per questo agricoltura e industria devono stringere un patto per rafforzare il legame tra cibi offerti e territorio attraverso etichette di origine trasparenti che consentano al consumatore di fare scelte di acquisto consapevoli. Bedoni ha fatto riferimento ai casi Parmalat e Cirio affermando che "é singolare come si tenti di liquidare quelle vicende come se fossero degli accidenti della storia e non sintomi di una visione terribilmente sbagliata del rapporto tra industria, finanza e territorio che si è fatta strada in questi anni nel comparto agroalimentare italiano". Senza entrare negli aspetti giudiziari delle vicende, ha continuato il presidente della Coldiretti "é evidente, soprattutto nel caso Parmalat, come la finanziarizzazione esasperata sia la conseguenza logica di una illusione: quella di pensare di poter fare a meno delle risorse del territorio e dell'agricoltura nella scalata verso una dimensione multinazionale".
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