Nei mercati ormai completamente mondializzati a decidere delle fortune di ogni impresa concorre in modo sempre più massiccio l’efficacia degli elementi immateriali con cui l’impresa stessa riveste i beni materiali che immette sul mercato. Anche nel mondo del vino, a decidere del successo di una bottiglia sono la presenza di simboli che evocano le sensazioni, il prestigio, l’appagamento di chi la consuma. Quei simboli sono segni, immagini, nomi di luoghi dove la produzione di un vino conosce una particolare tradizione. Nomi e simboli, quindi, attribuiscono alla materia prima il valore che ne fa prodotto dalla vivace domanda e dal prezzo elevato. Nel confronto per la spartizione del mercato mondiale del vino sono lo strumento per controllare quote ingenti della domanda e per appropriarsi delle fasce più ricche del consumo. Quei nomi e quei simboli e i loro relativi riferimenti rappresentano un valore ingente e caratterizzano modi radicalmente diversi di concepire il vino. Non è senza ragione, quindi, la durissima lotta che si è accesa senza esclusione di colpi.
Lo scontro che si combatte, vede in campo due schieramenti nettamente contrapposti: quello dei Paesi del “Nuovo Mondo”, i quali pretendono che gli unici marchi a contrassegnare i vini sul mercato siano i marchi industriali o i nomi dei vitigni (quindi i simboli delle società che producono i vini o, semplicemente, i “costituenti” il contenuto delle bottiglie) e quello dei Paesi, che potremmo definire “della cultura del territorio” (sostanzialmente Francia, Italia e Spagna, a cui si potrebbero aggiungere anche Portogallo e Germania) e che difendono il valore dei simboli a cui i vini sono tradizionalmente legati (quindi i simboli di un territorio e di una tradizione), anche indipendentemente dal nome del produttore e da quello del vitigno che li caratterizza (tuttavia, la realtà delle cose è più sfumata di quanto possa apparire: in Europa le spinte a ridurre il peso della normativa sul mercato sono forti, soprattutto da parte del mondo industriale, mentre, d’altro canto, nazioni come Stati Uniti e Australia sembrano voler sperimentare, per i loro vini più celebrati, il sistema delle denominazioni di origine, cioè legare il nome del vino al territorio di produzione, con un sistema di controllo che garantisca la veridicità di tale origine come nel caso delle R.G.I. (Registered Geographical Indications) australiane e delle A.V.A. (American Viticultural Area) americane.
Se a brandire le insegne della prima schiera sono, principalmente, Stati Uniti e Australia, è meno facile attribuire i gradi di capitano nella schiera contrapposta. Se infatti, tradizionalmente, è la Francia a vantare il blasone delle proprie produzioni vitivinicole di territorio - bastino i nomi di Bordeaux e dello Champagne - e che quel primato ha tutelato, in passato, in orgogliosa solitudine, l’atteggiamento francese (ma anche quello degli altri Paesi europei) sembra attualmente mutato all’acuirsi dell’aggressività del fronte avverso. È la prova della durezza dello scontro, ma anche il segno della lungimiranza francese, che, di fronte ad avversari troppo superiori, ha optato per una proposta d’alleanza che porti a formare uno schieramento in grado di costituire una difesa comune, nei cui ranghi essa non aspira, per rafforzare la coesione, che al ruolo di primus inter pares.
E’ questa la posizione di René Renou, presidente dell’INAO (Institut National des Appellations d'Origine cioè l’organizzazione responsabile della direzione, dell’amministrazione e del conferimento delle denominazioni francesi), che nella giornata internazionale vitivinicola, organizzata il 29 maggio a Siena, dall’Enoteca Italiana, ha rilasciato dichiarazioni molto chiare in questa direzione e in perfetta sintonia con lo spirito francese della à la guerre comme à la guerre.
“Spagna, Italia e Francia devono abbandonare ogni inutile contrapposizione e costruire invece un’unità d’intenti. Ormai - afferma Renou - esistono due diverse concezioni del mondo del vino: da una parte la Spagna, l’Italia e la Francia, che rappresentano la cultura del territorio, dall’altra i Paesi del “Nuovo Mondo” che esprimono il primato del marketing, del posizionamento del prodotto e assecondano le mode e i trend che attraversano rapidamente il mondo del vino, generando al contempo un nuovo modello di consumatore di vino. La lotta è tra queste due concezioni e la loro relativa clientela specifica. Vendere la concezione europea del vino attraverso i codici del “Nuovo Mondo” è un errore.
Le due concezioni non vanno confuse. Come per la musica esiste quella leggera e quella classica, così nel mondo del vino bisogna imparare a considerare in modo distinto e separato il modello del “Nuovo Mondo” e quello europeo”. Questa sorta di appello del Presidente dell’INAO stigmatizza una situazione che vede la viticoltura francese a denominazione d’origine sotto gli effetti di una crisi strutturale dalle dimensioni forse mai viste, che mette in discussione il funzionamento stesso delle A.O.C. (Appellation d’Origine Contrôlée, l’equivalente delle nostre Doc-Docg), considerate fino ad oggi come il simbolo dell'eccellenza del vino francese e lo strumento inimitabile del suo successo commerciale su scala planetaria.
Attualmente, infatti, la viticoltura francese subisce all'estero un’incessante erosione delle quote di mercato di fascia alta. L'offensiva dei vini del “Nuovo Mondo” sul mercato internazionale non si limita ai segmenti "basic/popular premium" e "superpremium" ma si allarga sempre di più ai segmenti "ultrapremium/icon", che costituiscono il core-business della concorrenza internazionale. E proprio alcuni territori francesi, in particolare quelli del sud, hanno modificato la loro politica di marketing adottando denominazioni più semplici, più “australiane” potremmo dire, che prevedono il nome del vitigno (vin de cépage) unito a nomi di territori abbastanza vasti da essere identificabili (In Italia, l’uso del nome di vitigno nelle D.O.C. è invece tradizionale (ad esempio Barbera d’Asti, Montepulciano d’Abruzzo), ma tanto i vitigni quanto i territori sono ancora meno conosciuti di quelli francesi, anche se le cose cominciano a cambiare: aumentano i segnali di stanchezza dei mercati più evoluti verso i "soliti" vitigni e cresce l’interesse verso i vitigni autoctoni meno consueti).
“La viticoltura francese - spiega René Renou - è divisa tra una viticoltura di terroir ed un’una più industriale, per la quale l’A.O.C. costituisce una garanzia commerciale. I viticultori devono prendere coscienza che la denominazione è un marchio collettivo da difendere e non un sindacato per la difesa delle loro rivendicazioni. Sono i guardiani d'un patrimonio nazionale in pericolo. La difesa delle A.O.C. non è una difesa dei professionisti del settore. La terra, la vigna e il vino appartengono al viticultore, ma l’A.O.C. appartiene al patrimonio nazionale ed è quindi gestita dal governo per conto dello Stato”.
La soluzione proposta dal Presidente dell’INAO parte dalla riformulazione e dall’ampliamento di tutti i decreti delle denominazioni francesi (l’equivalente dei nostri disciplinari) spesso incompleti o di difficile lettura, in base a ben 11 rigorosi criteri (contro i 7 dell’attuale ordinamento): il nome della denominazione, la delimitazione geografica e parcellare, l’assortimento dei vitigni, la forma di allevamento, le pratiche ambientali, il tenore di zuccheri, il grado minimo e massimo, le norme per l’arricchimento, le rese, le pratiche enologiche, il sistema di certificazione, le regole di presentazione e di etichettatura, il mancato rispetto del decreto. Accanto a questa profonda rilettura dei decreti di denominazione, sono allo studio due opzioni: l’introduzione di una A.O.C.E. (Appellation d’Origine Contrôlée d’Excellence) che farebbe riferimento alla classificazione consolidata secondo i territori, le tradizioni e i criteri di produzione (una sorta di "zoccolo duro dei terroirs") e le cui regole di accesso sarebbero estremamente rigorose e richiederebbero l’adesione di almeno il 75% dei viticoltori presenti nella zona in questione; oppure, una ridefinizione più flessibile delle A.O.C. alla richiesta di modernità espressa dal mercato, sia rispetto alle pratiche enologiche che all’etichettatura (indicazione dei vitigni), ma comprensiva al suo interno di una nuova indicazione la S.T.E. (Site et Terroir d’Excellence) da attribuire ad alcune aziende dotate di particolare reputazione in virtù dell’elevato livello qualitativo consolidato negli anni. In questo caso, si tratterebbe di un riconoscimento individuale concesso alle singole aziende in base a criteri aggiuntivi rispetto a quelli dei disciplinari A.O.C. ed equivalenti, dal punto di vista dei criteri di produzione, a quelli delle A.O.C.E.
L’attuale sistema delle denominazioni francesi
Il sistema di qualità francese prese consistenza intorno al 1930 con il nome di Appellation d'Origine Contrôlée , abbreviato in A.O.C. o Appellation Contrôlée la cui sigla è A.C.. Si creò di fatto il sistema di controllo di qualità enologica più imitato del mondo sui cui principi si basano, per esempio, la D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata) in Italia, la D.O. (Denominación de Origen) in Spagna e la D.O.C. (Denominação de Origem Controlada) in Portogallo, sicuramente senza avere lo stesso successo e la stessa efficacia. I principi fondamentali su cui si basa il sistema di qualità francese derivano in larga parte dal lavoro svolto nel 1923 dal Barone Le Roy, un influente e importante produttore di Châteauneuf-du-Pape, che adottò rigide regole per la produzione dei propri vini. Nel 1935 fu fondato l’INAO con l'espresso scopo di definire, stabilire e rafforzare i disciplinari di produzione delle singole A.O.C., che riprendevano in larga parte il modello stabilito dal Barone Le Roy (Decreto Legge 30 luglio 1935). La maggior parte dei disciplinari di produzione dei vini più famosi di Francia sono stati definiti nel periodo subito dopo la fondazione dell'INAO, tuttavia sono stati rivisti e perfezionati continuamente nel corso del tempo. Fu solo nel 1949 che l’INAO introdusse la categoria V.D.Q.S. (Vin Délimité de Qualité Supérieure) di livello inferiore all'A.O.C.. I principali criteri che consentono ad un vino di fregiarsi della categoria A.O.C. sono sette:
1) territorio - l'area dei vigneti viene definita in modo esatto attraverso testimonianze storiche sia sull'ubicazione che sull'uso nei secoli. Si valuta inoltre il tipo di terreno, posizione e altitudine;
2) uve - le uve consentite per la produzione di vino in ogni zona vengono stabilite in accordo alla tradizione storica del luogo, basandosi anche alla resa e la qualità di produzione in funzione del luogo e del clima;
3) pratiche colturali - definiscono il numero massimo di viti per ettaro, le modalità di potatura e i metodi di fertilizzazione;
4) resa - ogni A.O.C. definisce la quantità massima di uva che può essere raccolta e prodotta da un determinato vigneto;
5) grado alcolico - ogni A.O.C. stabilisce il titolo alcolico minimo che il vino deve avere;
6) tecniche enologiche - ogni A.O.C. stabilisce tecniche e procedure enologiche, solitamente basate sulla tradizione della zona, che nel corso degli anni hanno consentito di ottenere i migliori risultati;
7) controlli organolettici - dal 1979 tutti i vini candidati alle A.O.C. vengono valutati da un'apposita commissione.
Le categorie previste dal sistema di qualità francese prevedono due raggruppamenti principali:
1) - V.P.Q.R.D. (Vini di qualità prodotti in una regione determinata secondo il recepimento della sigla prevista dalla U.E.) e distinti a loro volta in:
a) Appellation d'Origine Contrôlée (A.O.C.): è il livello di qualità più alto del sistema. Una A.O.C. può comprendere anche delle sotto zone. Appartengono alle A.O.C. tutti i grandi vini di Francia, con un rigido disciplinare di produzione basato sia sulla tradizione sia sul legame della qualità del prodotto al terreno, al clima, al vitigno etc.. Alle A.O.C. appartengono anche i: Vins de Liqueur (V.D.L.) e Vins Doux Naturelle (V.D.N.);
b) Vin Délimité de Qualité Supérieure (V.D.Q.S.): tale denominazione è a metà tra i Vins de Table e le A.O.C. e prevede l’assegnazione di un marchio con la riserva che il vino corrisponda a caratteristiche stabilite dal Ministero dell’Agricoltura (vitigno, grado alcolico minimo, resa per ettaro, tecniche di coltura e di vinificazione, analisi chimica del vino, etc.) per l’area specifica di produzione. Prevede delle regole simili a quelle dell'A.O.C. ma meno rigide. Questa è la categoria meno utilizzata di tutto il sistema di qualità francese. Circa il 2% dell'intera produzione appartiene alla V.D.Q.S.. I vini di questa categoria sono solitamente in attesa di essere riconosciuti come A.O.C.
2) VINS DE TABLE divisi a loro volta in:
a) Vins de Pays: Elite di vini da tavola, prevede regole come per le categorie precedenti, tuttavia meno onerose e rigide, consentendo, per esempio, rese più alte e titoli alcolici minimi più bassi. I vini appartenenti a questa categoria vengono solitamente prodotti in zone molto più estese rispetto alle A.O.C.. Si distinguono in:
Vins de Pays a Denomination Departementale: Venduti col nome del dipartimento a meno che questo non sia già un A.O.C.;
Vins de Pays a Denomination de Zone: zona distinta dal dipartimento, generalmente più piccola;
Vins de Pays a Denomination Regionale: di zone che ricoprono più dipartimenti; b) Vins de Table: Generalmente commercializzati sotto il nome di una marca commerciale, è la categoria riservata a tutti quei vini che non rientrano, per mancanza o insufficienza di requisiti, nelle categorie superiori. Nelle etichette dei vini francesi vengono inoltre utilizzate delle diciture che in determinati casi hanno un legame con la qualità del vino. Le indicazioni più frequenti che si possono trovare sono:
Château - nonostante il suo significato in francese sia “castello”, quando utilizzato nel vino non ha nessun legame con le suggestive e imponenti costruzioni medievali. Uno Château è un'azienda vitivinicola che produce vino prevalentemente nella zona di Bordeaux. Il termine è sempre seguito dal nome specifico dell'azienda;
Clos - il significato francese di questa parola è “chiuso” o “racchiuso”, ma nella terminologia enologica indica un vigneto o una proprietà recintata e delimitata. Il termine viene utilizzato prevalentemente nella Borgogna e solo le aziende che possiedono un vigneto e che producono e imbottigliano il proprio vino possono utilizzarlo nell'etichetta. Il termine è sempre completato da altre indicazioni che identificano il vigneto o la proprietà;
Domaine - il significato letterale è “proprietà” ed è un termine utilizzato prevalentemente nella Borgogna. Indica una proprietà, appartenente ad una singola azienda, composta da un singolo o più vigneti, anche collocati in zone diverse;
Côte - “costa” in Italiano, inteso come lato o parete di una collina o di un pendio, indica una zona delimitata di produzione di qualità, principalmente della Borgogna;
Cru - nella terminologia enologica francese indica una determinata zona, spesso un singolo vigneto o una piccola località, che grazie alle sue specifiche caratteristiche climatiche, geologiche e ambientali, produce vini di qualità e di caratteristiche superiori o comunque uniche e identificabili;
Grand Cru - questo termine è utilizzato in Borgogna e indica un vino prodotto in un vigneto di qualità superiore; è il riconoscimento di qualità più alto che può essere attribuito ad un vino. Lo stesso significato viene attribuito anche nella Champagne e nell'Alsazia. Nella zona di Bordeaux il termine non ha la stessa importanza che ha nelle altre zone e viene riconosciuto ad alcuni Château, in particolare a quelli della sotto zona di Saint-Émilion;
Grand Cru Classé - Il termine è utilizzato prevalentemente per i vini di Bordeaux. Nella zona di Saint-Émilion indica il secondo livello di classificazione, mentre nella zone di Médoc e Sauternes indica un vino che appartiene ad una categoria di classificazione compresa fra la seconda e la quinta;
Premier Cru (1er Cru) - nella zona di Bordeaux, con l'eccezione di Sauternes e Barsac, indica un vino appartenente alla più alta categoria della classificazione. Attualmente solo cinque Château possono fregiarsi di questo riconoscimento. Nella zona di Sauternes indica invece la seconda categoria di classificazione. Nella Borgogna indica il secondo livello di classificazione, al di sotto di Grand Cru;
Premier Grand Cru (1er Grand Cru) - nella zona di Sauternes indica il livello più alto di classificazione. Attualmente, solo uno Château appartiene a questa categoria. Viene anche indicato come Premier Cru Supérieur;
Premier Grand Cru Classé (1er Grand Cru Classé) - nella zona di Saint-Émilion indica la categoria di classificazione più alta attribuibile ad un vino. La dicitura può essere riportata anche nelle etichette dei vini del Médoc e di Sauternes per indicare un vino di categoria “Premier Grand Cru”;
Cru Classé - indica principalmente il nome attribuito alla famosa classificazione del 1855 per i vini del Médoc, nel Bordolese. Il sistema prevede cinque categorie, dalla prima alla quinta (Premier Cru, Deuxième Cru, Troisième Cru, Quatrième Cru, Cinquième Cru). Nella stessa classificazione, i vini di Sauternes/Barsac furono classificati in due sole categorie (Premier Cru, Deuxième Cru). Il termine è anche utilizzato per la classificazione dei vini delle Graves, sempre a Bordeaux, e non prevede suddivisioni, pertanto tutti i vini di qualità delle Graves, sia bianchi che rossi, vengono definiti “Cru Classé”. Anche la classificazione dei vini di Saint-Émilion prende il nome di “Cru Classé”;
Cru Bourgeois - categoria di classificazione per i vini del bordolese, considerati in qualità inferiori al sistema “Cru Classé”. Il livello più alto di questa classificazione è il Cru Bourgeois Supérieurs Exceptionnel, spesso indicato semplicemente come Cru Bourgeois Exceptionnel o Cru Exceptionnel. La seconda categoria prende il nome di Cru Bourgeois Supérieurs o Cru Grand Bourgeois, seguita da una terza e ultima che prende il nome di Cru Bourgeois;
Supérieur - Il termine indica prevalentemente un vino il cui grado alcolico è più alto rispetto alla tipologia di appartenenza. Talvolta indica, oltre al grado alcolico superiore, anche una resa del raccolto inferiore rispetto agli standard definiti per la tipologia.
L’attuale piramide della qualità dei vini italiani
Il primo vero sistema italiano che stabiliva norme legali per garantire la qualità dei vini e delle zone di provenienza, fu introdotto in Italia solo negli anni ‘60 (D.P.R. n° 930 del 12 febbraio 1963) e fissava le norme, per la prima volta in Italia, di un sistema di denominazione che segnava una divisione netta fra i vini cosiddetti “da tavola” e quelli di maggiore qualità. L'attuale sistema di qualità italiano è regolamentato dalla legge 164 del 1992 (con la quale l’Italia recepisce anche la sigla della Unione Europea di V.Q.P.R.D. Vino di Qualità Prodotto in Regione Determinata) e che sostituisce la precedente legge del 1963. Oltre a tutelare le zone di produzione di qualità, la legge stabilisce anche i criteri di produzione e definisce i requisiti minimi per iscrivere un vino ad una determinata denominazione. Il sistema è articolato in categorie di denominazione che stabiliscono classi di qualità distinte e idealmente collocate in una “piramide di qualità” che, partendo dal livello di qualità più basso fino a quello più elevato, sono:
1) VINO DA TAVOLA:
a) Vino da Tavola: rappresenta il livello qualitativo più basso del sistema e ha costituito di fatto un paradosso perché, prima dell’entrata in vigore della Legge 164 del ‘92, spesso a questa categoria appartenevano non solo i vini “da tutti i giorni”, ma anche veri e propri gioielli dell’enologia italiana, come, solo per fare un esempio, “Sassicaia” o “Tignanello”;
b) I.G.T. (Indicazione Geografica Tipica): definisce aree di produzione piuttosto vaste, nella maggior parte dei casi un'intera regione, e consente la produzione di vino con uve autorizzate e raccomandate nella zona, che spesso comprendono una vasta scelta, lasciando di fatto al produttore, una maggiore libertà di espressione enologica. Questa categoria, pur appartenendo al raggruppamento del Vino da Tavola, comprende in realtà una notevole quantità di vini di alta qualità, compresi tutti i cosiddetti “Supertuscans”.
2) V.Q.P.R.D:
a) D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata): definisce un'area, solitamente più ristretta rispetto ad una I.G.T. e avente criteri di produzione più rigidi rispetto ai vini ad indicazione geografica tipica;
b) D.O.C.G. (Denominazione di Origine Controllata e Garantita): posta nel livello più alto del sistema, la D.O.C.G. definisce aree di produzione dai criteri di produzione e di valutazione più rigidi rispetto a tutte le altre categorie. Le bottiglie di vino appartenenti a questa categoria devono essere contrassegnate, con lo scopo di garantire il contenuto della bottiglia e di prevenire eventuali contraffazioni, con degli appositi sigilli numerati emessi dallo Stato Italiano.
Il sistema di denominazione prevede inoltre la possibilità di indicare l'indicazione del nome della vigna, del podere, della fattoria o della località, con lo scopo di restringere e tutelare maggiormente la qualità di una determinata area che possiede caratteristiche di qualità superiori rispetto all'intera denominazione, adottando in questo modo, il concetto di cru utilizzato in Francia. Alcuni disciplinari di denominazione stabiliscono inoltre delle tipologie aggiuntive, attribuite ai vini che possiedono caratteristiche di produzione particolari e che vengono indicate nell'etichetta con i seguenti termini:
Classico - indica un vino prodotto nella zona storicamente tipica e più vocata della denominazione a cui appartiene;
Superiore - indica un vino avente un grado alcolico maggiore rispetto ai requisiti minimi della denominazione;
Riserva - indica un vino che ha subito un periodo di affinamento più lungo rispetto a quanto stabilito dai requisiti minimi della denominazione.
Un po’ di cifre
L’obiettivo delle Doc di tutelare il valore della produzione ha, in buona parte, funzionato. Basta vedere il trend dei prezzi dei vini all’ingrosso in Italia nell’ultimo quinquennio. Molti vini Doc hanno compiuto un balzo in avanti notevole, in alcuni casi anche oltre il 100%. Per contro, molti vini da tavola sono rimasti fermi o sono addirittura scesi. Ma non tutte le Doc funzionano. I difensori delle Doc sostengono che il nome del vitigno non si può tutelare, perché il vitigno si può coltivare ovunque, mentre il territorio è unico e non si può riprodurre. E’ sicuramente vero: ma è anche vero che le Doc legate a piccoli territori e svincolate dal nome di vitigno sono più difficili da capire per i consumatori del mondo intero, che non possono conoscere la geografia viticola europea nei dettagli. Prendiamo, ad esempio, la Borgogna: 99 A.O.C., divise in 33 Grands Crus, 42 denominazioni comunali, e 22 denominazioni regionali. La Francia ha 404 A.O.C. (Bordeaux ne vanta 57) e 30 V.D.Q.S. che rappresentano, rispettivamente, il 50% e il 2% della produzione totale di vino francese, mentre in Italia sono 24 le Docg e 314 le Doc riconosciute.
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