Diffidate degli stuzzichini offerti per l’aperitivo nei locali poco puliti, state lontani dal sushi a meno che non sia fornito da veri ristoratori giapponesi, esperti nel maneggiare il pesce crudo: questo l’allarme lanciato a Milano dai Nas. Milano è la città che, in Italia, ha imposto l’abitudine dell’happy hour, evoluzione modaiola dell'aperitivo, e che ora assiste anche a un vero e proprio boom del pesce crudo, sulla spinta dei locali giapponesi che fanno di sushi e sashimi la loro principale attrattiva.
Il fenomeno, però, ha anche degli aspetti poco noti, che il nucleo anti sofisticazione mette in luce con le sue indagini: ad esempio, il fatto che la grande maggioranza dei ristoranti cosiddetti giapponesi siano in realtà cinesi, e che l’aumento del consumo di prodotti ittici non cotti sia causa, sempre più spesso, di problemi di igiene e di salute.
Il fenomeno è emerso più volte, nei periodici controlli dei Nas di Milano nel settore della ristorazione etnica, che hanno anche portato alla denuncia di molti titolari di locali, per violazioni alle norme igienico-sanitarie. “Da tempo ormai assistiamo al proliferare di ristoranti giapponesi che di giapponese, per la verità, non hanno molto, oltre alla dicitura sulla vetrina o sull'insegna. In realtà - spiegano i Nas di Milano - la maggior parte di tali esercizi, che si sono aggiunti a quelli seri e tradizionali, sono gestiti da personale senza alcuna esperienza nella specifica trattazione o somministrazione di questo tipo di alimenti”. In Giappone, invece, per capirsi, i veri esperti del sushi, per poter offrire questi piatti al pubblico, devono avere addirittura un patentino. “Qui tutti hanno seguito la moda - spiega un ristoratore che vuole mantenere l’anonimato - e si sono improvvisati cuochi giapponesi: per primi i cinesi, i quali hanno capito che, mentre i gamberetti fritti vengono venduti a 5 euro, un piatto di pesce crudo, in un contesto di lusso, anche a 50 euro. Figuriamoci che molti locali cinesi hanno solo cambiato insegna, nemmeno la società o l’ubicazione del ristorante. Anche molti italiani hanno deciso di approfittare della nuova moda”.
Così, spinto dal business, a Milano cresce il consumo del pesce crudo. “Attenzione, però - spiega Edgardo Valerio, direttore del Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione Asl - i prodotti ittici devono essere maneggiati con cura e conservati attentamente, perché altrimenti possono causare anche gravi problemi. In città, purtroppo, in troppe occasioni, abbiamo riscontrato irregolarità, spesso nei cosiddetti ristoranti etnici, ma talvolta anche in quelli italiani”.
“Negli ultimi tempi abbiamo poi riscontrato - prosegue Valerio - un aumento dei casi di eruzioni cutanee dovute a intossicazioni alimentari da pesce. Quando si va a mangiare il pesce, crudo o cotto, sarebbe quindi meglio recarsi da un ristoratore di fiducia”. “Il problema esiste - spiega Massimo Giubilesi, presidente dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari - basti pensare che la catena del freddo imporrebbe al ristoratore di avere scarico del materiale, lavorazione e conservazione dei prodotti ittici in una zona dedicata. Ma quanti, tra gli 11.000 ristoranti di Milano e provincia, quelli che hanno un requisito simile?”.
L’Asl chiude ogni anno una settantina di locali. Ma il fatto che il numero di locali, nonostante le continue chiusure, rimanga costante, la dice lunga sulla qualità di questo settore: molti ristoranti, infatti, si adeguano velocemente e riaprono, ma siamo ben lontani - dicono gli esperti - dai livelli di freschezza e igiene che dovrebbero essere garantiti. Nel settore del cibo più alla moda, che va dal sushi agli stuzzichini serviti in vassoi comuni, è dunque allarme, per piccole negligenze o per grande menefreghismo: c’é perfino il caso di un noto ristorante giapponese, in Zona Ticinese, dove i Nas, alcuni mesi fa, hanno scoperto il pesce “fresco” abbandonato mezzo marcio nel cortile interno dello stabile, tra i motorini e i bidoni della spazzatura. Ma ci sono anche tanti pub e bar che ora si improvvisano locali per happy hour alla moda e rifilano agli ignari clienti alimenti che, spesso “sono fuori dal frigo da molte ore, o provengono - affermano i Nas - dalle rimanenze di altri ristoranti”.
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