Non è lontano il momento in cui avremo il listino delle grandi bottiglie. L’annuncio di un progetto di Borsa Spa sta per arrivare - in un futuro non troppo lontano - alla quotazione delle migliori etichette italiane in un apposito stock exchange, sul tipo del Numtel, è arrivato dal convegno “Il vino è un bene liquido?”, organizzato dal Salone del Vino (aperto solo agli operatori, fino al 18 novembre). Il seminario, organizzato da Lingotto Fiere, è stato aperto dal patron Alfredo Cazzola, che organizza e ospita l’evento che ha sancito che Un matrimonio tra vino e finanza non solo è auspicabile, ma è possibile in tempi rapidi. Ma veniamo alla cronaca. Raffaele Jerusalmi, responsabile del settore derivati per Borsa Spa, ha annunciato infatti che è allo studio un piano per dotare il comparto vino “in prepotente crescita per quanto riguarda i volumi” di una serie di strumenti finanziari. Ricordato che già alla Borsa di Parigi ha debuttato il fondo “Winefex” costituito da un basket di etichette, Jerusalmi ha detto che per quel che riguarda il mercato italiano si dovrà procedere per step che consistono nella creazione di prodotti finanziari legati al vino (ad esempio dei covered warrant), nella successiva creazione di fondi chiusi che investono sia in vino che in partecipazioni di aziende vitivinicole di alta qualità, nella quotazione diretta di aziende vinicole. Fatto questo lavoro e quindi dotato il mercato di strumenti operativi idonei si dovrà arrivare “alla Borsa del vino di qualità”. L’unico limite che Jerusalmi intravede per il nostro Paese è che mentre Bordeaux può costruire un “paniere omogeneo di etichette che coprono il mercato con volumi significativi” in Italia si deve portare sul mercato una “pluralità di soggetti legati da un denominatore comune qualitativo altissimo”. Ma la strada per la finanziarizzazione del comparto vitivinicolo secondo il manager di Borsa Spa è aperta e la si può percorre con decisione e fiducia. A confermare la possibilità che vino e prodotti finanziari si uniscano è stato il professor Paul de Sury dell’Università di Torino, che, assieme a Barbara Alemanni della Bocconi di Milano, ha condotto una ricerca sulle potenzialità degli investimenti in vino. Secondo de Sury “i dati dicono che il vino non è un bene rifugio, ma poiché segue più o meno gli andamenti della Borsa è assimilabile agli altri prodotti finanziari. Dalla nostra ricerca - ha aggiunto l’economista - emerge anche che il vino di qualità va in controtendenza rispetto alle commodities agricole”. Per condurre il loro studio de Sury e la Alemanni hanno messo a confronto le quotazioni degli ultimi cinque anni di un panel di azioni mondiali di obbligazioni Usa, dei prezzi delle grandi bottiglie nelle aste e dei prezzi agricoli. Fatto 100 il valore iniziale il vino ha fruttato in 5 anni il 30%, più o meno come le azioni e un po’ meno delle obbligazioni, infinitamente di più dei prodotti agricoli. Ma anche la curva dei prezzi del vino è simile a quelle delle azioni ed ha un forte indice di compatibilità con gli andamenti del mercato dei capitali. I due ricercatori si sono spinti anche a determinare qual è la soglia ottimale di investimento in vino. “Un operatore finanziario attento - sostengono - può allocare tra il 5% e il 10% del suo portafoglio in vino di qualità ed a tracciare una classifica dei migliori investimenti. Ma, in questa classifica, non compaiono etichette italiane perché poco presenti nelle aste ed infatti De Sury avverte “se dallo studio statistico vogliamo passare all’implementazione di un vero mercato degli investimenti in vino allora bisogna trovare strumenti di regolamentazione e certificazione della qualità”. La convenienza di un investimento in vino - sostiene l’economista - attualmente “si realizza nello scarto di informazioni che c’è tra il mercato primario - che è povero di notizie - sul quale si compra il vino e il mercato secondario - dove invece ci sono molte informazioni disponibili per l’acquirente - sul quale si rivende il vino “ma una volta che si fosse strutturata una vera Borsa del vino, allora si dovrebbero evitare operazioni di inside e, dunque, la convenienza sarebbe tutta giocata sulla qualità intrinseca del prodotto scommettendo sul suo apprezzamento di valore”.
Ma c’è già chi ha scommesso sul vino come bene finanziario ed è il fondo Emprimer (la maggioranza del capitale è in mano ad un pool di banche) condotto dal dottor Claudio Ciastellardi, il quale ha confermato: “spazi per cercare un mercato finanziario di prodotti legato al vino c’è, il problema centrale resta la certificazione di qualità e la capacità del vino di creare valore aggiunto capace di remunerare gli investimenti. Per questo si può pensare di operare con fondi chiusi che abbiano in portafoglio oltre al vino anche partecipazioni al capitale delle aziende”. D’accordo, ma con molta cautela, sulla possibilità di finanziarizzare il mercato del vino è anche Christian Roger il quale ha però avvertito: “attualmente sono le aste mondiali - se ne fanno 250 all’anno - a fungere da borsa per il vino. E in queste aste vengono battute sulle 50 etichette che rappresentano l’uno per cento della produzione francese, una decina di etichette italiane, che coprono l’1 per mille della produzione, e sporadicamente bottiglie californiane, spagnole, tedesche ed ungheresi. A vantaggio del vino italiano, c’è da dire che la presenza stabile di etichette nelle aste è in incremento. Ma per passare dal sistema della aste a quello di una vera Borsa servono cautela e molta riflessione”.
Al convegno sono poi intervenuti Ezio Rivella, presidente dell’Unione Italiana Vini, e Giovanni Geddes de la Filicaja, amministratore delegato della Marchesi de’ Frescobaldi, i quali hanno testimoniato le loro esperienze in fatto di emissione di contratti a termine legati al vino. Per Rivella “è stata un’operazione significativa più sul piano dell’immagine che dal punto di vista dei volumi anche se l’avere esaurito 80.000 bottiglie in tre giorni di prenotazione ha denotato che c’è un forte interesse verso l’investimento in vino”; per Geddes “l’esperienza fatta dimostra che se dall’appettibilità del vino si passa all’appettibilità meramente finanziaria di un prodotto legato al vino c’è un calo di attenzione. Non è facile collocare sul mercato obbligazioni convertibili in vino se il rendimento monetario non è comunque in linea con quello del mercato”. Un primo passo per comunque dotare di strumenti finanziari le cantine potrebbe essere l’estensione della vendita en primeur, progetto al quale sta lavorando Winetip. Mako Onfermann si dice “convinto che quanto si fa a Bordeaux da secoli è ripetibile in tutti i principali paesi vitivinicoli ed in particolare in Italia. Ciò consentirà di avere massa critica di prodotto a qualità costante da collocare sul mercato dove è possibile attendersi una variabilità di prezzi primo presupposto per creare una trattazione finanziaria di titoli legati al vino”.
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