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C’È TAPPO E TAPPO. PERCHÉ QUEL CILINDRO DI SUGHERO NON È UN ACCESSORIO INSIGNIFICANTE, MA PARTE INTEGRANTE (E INFLUENTE) DEL PRODOTTO-VINO. LE RIFLESSIONI DI GIGI BROZZONI, DIRETTORE SEMINARIO PERMANENTE LUGI VERONELLI

Pensateci bene: quanti di voi hanno considerato il tappo di sughero di una bordolese, una renana o una champagnotta come parte vera e viva del prodotto, e non come un semplice accessorio tecnico necessario al mero confezionamento? Eppure Gigi Brozzoni, direttore Seminario Permanente Luigi Veronelli, ha fatto recentemente un’analisi di quelle che fanno proprio riflettere.

Perché Brozzoni porta in primo piano il tema-tappo, mostrando chiaramente quanto questo può conservare o modificare la struttura di un vino. E sotto questa luce il suo “j’accuse” trova giusta collocazione. Cita i numeri, Brozzoni. Dimostra come se i vini fermi sono relativamente al sicuro dal “sapere di tappo”, quel sapore sgradevole causato dal tricloroanisolo prodotto dall’armillaria mellea, parassita del sughero, il rischio sale - e di molto - con i vini mossi. Per i primi, se la qualità del sughero è buona, magari monopezzo, la percentuale di rischio è davvero irrisoria: l’1 o il 2%. Se invece il tappo è realizzato con agglomerati si possono presentare problemi in fase di tappatura (ossidazioni, perossidi e muffe), e anche se il problema non è dato dal tricloroanisolo si possono avere falsi odori di tappo. E qui il fattore di rischio sale al 5-6%. Purtroppo pochi sanno osservare i tappi e pochi sanno riconoscere i difetti che essi possono causare: a molti un vino non piace e pensano sia cattivo di suo, con danno diretto all'azienda che produce il vino buono e la piena assoluzione perché “il fatto non sussiste” a chi produce il tappo difettoso.

La questione si complica ulteriormente quando si tratta di vini spumeggianti. Brozzoni osserva che in questo caso i tappi sono invariabilmente costituiti da agglomerati rifiniti con due rondelle la cui variabilità qualitativa è ridottissima: e qui l'incidenza del Tca aumenta fino al 4-5%, mentre il falso odore di tappo supera largamente il 10%. Perché questa differenza tra i tappi cilindrici e quelli “a fungo”? Per spiegarlo, Brozzoni parte da considerazioni scientifiche. L’armillaria mellea non si annida nelle cellule di sughero integre e ben protette dalla suberina, bensì nella porosità del sughero che lo attraversa trasversalmente. Allora, se osserviamo i tappi per vini fermi - tagliati in direzione perpendicolare allo spessore delle strisce fustellate (così che la porosità risulti in senso trasversale al tappo) e da plance di buono spessore con sughero di prima scelta - possiamo notare che la superficie piana, quella che sta a contatto con il vino, è composta prevalentemente da cellule di sughero integre, che non trasmettono alcun odore cattivo al vino. Tuttavia questa superficie può essere attraversata da un certo numero di solchi, dall'auspicabile zero fino a 5-6, ed è chiaro allora che il numero di solchi è in rapporto diretto con la percentuale di rischio di Tca che in quei solchi si può annidare. I tappi per i vini mossi sono, chissà perché, radicalmente diversi. Si tratta sempre di agglomerati composti da rondelle sottili e tagliate in direzione orizzontale: la superficie a contatto con il vino risulta sforacchiata dai pori che incidono perpendicolarmente sul liquido. Il che significa che l’eventuale armillaria presente ha vita facile nel passare al vino.

La domanda che Brozzoni pone, a questo punto, è: perché questo settore della nostra enologia non è stato finora in grado di farsi produrre dall’industria del sughero dei tappi adeguati allo standard qualitativo dei loro vini? Perché nessun produttore, che pure trae solo svantaggi dagli attuali tappi, non spinge perché le aziende realizzino tappi a pezzo unico, o almeno assemblati con rondelle tagliate perpendicolarmente per abbassare le insidie di contaminazioni dannose?

Le domande non paiono peregrine, alla luce di un esame così puntuale della questione. Certo, agglomerati scadenti hanno un bel vantaggio: costano pochissimo. Ma allora torniamo all’inizio, e il cerchio sarebbe chiuso, perché significherebbe che gli stessi produttori considerano prodotto solo il contenuto della bottiglia, e non anche la sua confezione.

In fondo la valenza culturale di un vino sta - e in buona parte - anche qui. Perché se cominciamo a considerare il contenitore come volgare packaging allora tanto vale passare baldanzosi al bag-in-box. Pensiamoci, magari.

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