Arriva puntuale, e non certo inaspettata, la reazione del mondo della ristorazione e dei bar, che non ci stanno alle nuove misure imposte dall’ultimo Dpcm, approvato dal Consiglio dei Ministri. La chiusura anticipata dei locali viene vista come un colpo durissimo per il settore che arriva dopo un 2020 che ha già imposto un pesante lockdown e che è stato accompagnato dalla diffusione dello smart working che ha limato ulteriormente una clientela che non ha più i numeri del passato. Gli appelli dei giorni scorsi, tra cui anche quello di Fipe/Confcommercio, sono andati a vuoto. E adesso si alza la voce della protesta perché se ormai indietro non si torna, il comparto chiede un aiuto per rimanere a galla.
“Le misure contenute nel nuovo Dpcm - è il parere di Lino Stoppani, presidente di Fipe/Confcommercio - rappresentano un colpo mortale per un settore già in gravissima crisi che vede il rischio chiusura per 50.000 imprese e la perdita del lavoro per 350.000 lavoratori. Questo, numeri alla mano, il risultato se si proseguirà sulla strada delle chiusure anticipate, invece di incrementare i controlli per punire chi non rispetta le regole. Bar, ristoranti, stabilimenti balneari, imprese di banqueting e catering, imprese dell’intrattenimento sono state le realtà più colpite dalla crisi economica determinata dal Covid. Ma sono state anche quelle meno supportate. Senza aiuti significativi e concreti, siamo destinati chiudere per sempre, rinunciando a uno dei fiori all’occhiello dell’offerta turistica nazionale e a un tassello fondamentale della filiera agroalimentare italiana”. Stoppani ha fotografato una situazione complessa e chiede interventi in grado di ridare ossigeno al comparto che somma non solo incassi al ribasso ma anche nuove spese effettuate per allinearsi alle misure di sicurezza imposte dal Covid-19.
“Tra i nostri imprenditori - prosegue Stoppani - c’è ancora chi deve pagare i debiti accumulati durante il lockdown di marzo e chi deve ammortizzare gli investimenti fatti per mettere il proprio locale in regola secondo il protocollo siglato a maggio. È impensabile che si possa far fronte a una nuova riduzione dell’attività, mentre nessuno sta muovendo un dito per ridurre le spese cui i gestori dei pubblici esercizi sono tuttora costretti. Dagli affitti, al fisco. Se prima non si interviene in maniera decisa su queste due voci, non è possibile accettare nuove limitazioni al nostro lavoro”.
E, intanto, già si fa la stima dei danni anche per chi la ristorazione la fornisce, ovvero produttori di vino, prodotti enogastronomici e materie prime. Coldiretti (analisi su dati Ismea) prevede una perdita di fatturato di oltre 8 miliardi nel 2020 per i mancati acquisti in cibi e bevande. Le nuove misure saranno più pesanti per quei locali che hanno spazi limitati, perché se è vero che la chiusura è alle ore 24, dalle ore 21 sarà vietato consumare in piedi, una condizione che di fatto riduce la capienza delle attività e che potenzialmente porterà una parte dei gestori ad abbassare la saracinesca subito dopo aver servito l’aperitivo. Per gli acquisti extradomestici per colazioni, pranzi e cene fuori casa viene inoltre stimato un calo del 40% su base annuale ma la riduzione delle attività rischia di generare un effetto a catena dove a risentirne saranno molti prodotti “dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura - aggiunge Coldiretti - ma anche salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato”. Coldiretti giudica “importante ma non sufficiente” l’arrivo del bonus di filiera che “stanzia 600 milioni di euro con un contributo a fondo perduto a favore di ristoranti e a agriturismi in difficoltà per l’acquisto di prodotti di filiere agricole ed alimentari, inclusi quelli vitivinicoli”.
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