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VINO E MERCATI DEL MONDO

Cina, mercato complesso, ma crescere si può: la case history Piccini, a +50% anno su anno

Per il gruppo guidato da Mario Piccini, che ha aperto un presidio a Shanghai, il Paese del Dragone vale l’8% del fatturato

La Cina, per il vino italiano nel complesso, resta ancora una grande promessa e poco più. Eppure, resta un mercato su cui investire perchè, stando a tutte le analisi internazionali, sarà il primo mercato di consumo del vino nel giro di pochi anni, ed un Paese come l’Italia, che è il più grande produttore di vino al mondo (primato che alterna, di tanto in tanto, con la Francia) non può accontentarsi di rappresentare una quota di mercato che si aggira, secondo le stime più positive, intorno al 7%. Anche perchè crescere concretamente si può, come testimonia la case history di Piccini, una delle realtà più conosciute della galassia chiantigiana, e che con la Tenute Piccini mette insieme oltre 150 ettari di vigneto tra Toscana, con la Fattoria di Valiano, nel Chianti Classico (70 ettari vitati), la Tenuta Moraia in Maremma (60 ettari), Villa Cortile a Montalcino (12 ettari) ed il Chianti Geografico, Sicilia, con Torre Mora, sull’Etna (12 ettari), e Basilicata, con Regio Cantina, a Venosa, terra di Aglianico del Vulture, con 12 ettari). L’azienda guidata da Mario Piccini, che, di recente, ha aperto anche un suo presidio stabile a Shanghai, ha registrato una crescita delle esportazioni in Cina del 50% anno su anno, con il Paese del Dragone che per l’azienda, che esporta i propri vini in 80 Paesi del mondo, che copre da solo l’8% del fatturato (nel 2018 superiore ai 64 milioni di euro, ndr).

“La nostra strategia in Cina è quella di presidiare e conoscere questo territorio estremamente variegato da un punto di vista socio-culturale e vasto, da qui la decisione di aprire una sede Piccini a Shanghai - spiega Mario Piccini - e la strategia di distribuzione si basa su di uno sviluppo del canale tradizionale e strategie volte ad una maggiore fidelizzazione del cliente, scelte quasi obbligate quando parliamo di un mondo così complesso e nuovo, se osservato dagli occhi di un consumatore cinese, quale è il vino italiano. Strategia che al momento sta portando i suoi frutti”.

In un mercato, peraltro, tutt’altro che semplice, dove “le difficoltà principali - continua Piccini - sono rappresentate dalla concorrenza di paesi produttori quali Australia e Cile che godono di accordi libero scambio, a differenza dei vini italiani tassati con tariffe che variano dal 14 al 20% a seconda della tipologia di vino. Sulla fascia premium i nostri prodotti si scontrano invece con la Francia: i vini d’Oltralpe possono godere di un ottimo posizionamento, spinti da brand-icona che vanno dagli Chateaux bordolesi alle maisons di Champagne, passando dai prestigiosi cru della Borgogna. Altre difficoltà sono rappresentate dall’instabilità del mercato, il 2018 si è chiuso con il segno meno in termini di volume di vino importato. Alti e bassi, parliamo di un -4% sul 2017 con trend negativo confermato nel primo semestre 2019, legati alle turbolenze dei mercati mondiali, su tutte le tensioni Usa-Cina, ma anche all’indebolimento dello Yuan che perdura da ormai 5 anni, fino alla mancanza di esperienza da parte di importatori e distributori che nel tempo hanno accumulato stock senza una strategia di distribuzione adeguata. Tuttavia, è necessario considerare che le importazioni di vino in Cina sono quasi decuplicate negli ultimi 10 anni mentre il consumo pro capite è ancora di poco superiore al litro pro capite, e quindi ci sono margini di crescita importanti”.

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