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CITTA’ DEL VINO: DAL PASSAGGIO ALLE NUOVE DENOMINAZIONI DOP E IGP ALLA RIVOLUZIONE DEI CONTROLLI, ECCO I PUNTI PIU’ CRITICI DELLA RIFORMA DELLA 164/92, LA “LEGGE QUADRO” DEL MONDO DEL VINO IN ITALIA

Il passaggio alle nuove denominazioni Dop, Igp e vini da tavola, per i vini italiani è, senza dubbio, la questione più delicata, che, soprattutto agli occhi del consumatore, rischia di creare confusione, per la riduzione della piramide della qualità a tre soli livelli, e perché non esiste ancora un limite di tempo per il graduale superamento delle Docg, Doc e Igt, che potranno essere ancora menzionate in etichetta insieme alle nuove denominazioni. Insomma, l’introduzione delle Dop e Igp per il vino lascia ancora dei dubbi alle Città del Vino, anche rispetto a come reagiranno competitors importanti come Francia e Spagna. Per l’associazione dei Comuni a più alta vocazione vitivinicola d’Italia, che oggi, 14 gennaio, è intervenuta in audizione alla XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, è questo uno dei punti cruciali della Riforma della Legge 164/92, la “legge quadro” del mondo del vino in Italia, che, dopo 17 anni, viene profondamente rivisitata per essere adeguata alla nuova Ocm vino (Regolamento CE n. 479/2008).
Per le Città del Vino l’introduzione della denominazione di origine protetta (Dop) anche per il vino, comporta la necessità di riflettere sull’uso che in futuro si farà ancora delle “vecchie” denominazioni Docg e Doc. “L’estrema flessibilità nell’uso di menzioni e simboli in etichetta (il produttore è libero di scegliere il sistema di qualificazione che preferisce, lasciando la menzione tradizionale a sostituire completamente la sigla europea o associandola ai simboli comunitari di protezione) lascia configurare una situazione estremamente disomogenea - sottolinea il presidente Giampaolo Pioli - che se da un lato può costituire un vantaggio per le imprese, dall’altro può generare confusione nel consumatore”.
La riforma, se si preoccupa giustamente di salvaguardare nell’immediato il mantenimento delle Docg e Doc italiane a garanzia di una classificazione qualitativa già stabilita e riconosciuta dai consumatori, non stabilisce però un limite di tempo per l’effettivo adeguamento alla normativa europea, che porti ad un graduale superamento delle attuali Docg e Doc. Questo, spiegano le Città del Vino, non perché si debba appiattire il valore qualitativo delle attuali denominazioni italiane, ma perché si giunga ad un effettivo innalzamento del concetto qualitativo legato alle future Dop: in sostanza quello che prima veniva considerato un problema deve essere trasformato in un vantaggio. Per le Città del Vino, infatti, è lecito pensare che in un prossimo futuro le nuove Dop potranno essere quello che oggi sono le Docg, e le nuove Igp quelle che sono le Doc, e questo, in un’ottica di semplificazione, porterebbe notevoli vantaggi anche nella comunicazione. Non è certo nuovo il dibattito sul ruolo delle Doc attuali e, soprattutto, sul loro eccessivo proliferare nel corso degli anni: da più voci si è sentito dire che le Doc sono troppe. Per le Città del Vino occorre ribadire che le singole denominazioni, simbolo del legame vino/territorio, rappresentano il patrimonio collettivo di una determinata area, visto che, con la nuova Ocm vino, il riconoscimento di Dop e Igp spetta, d’ora in avanti, alla stessa Ue.
Altro punto cruciale è il fatto che la riforma preveda la riaffermazione della possibilità per le denominazioni di origine di comprendere anche territori adiacenti o vicini, e di permettere la coesistenza in una stessa area di più denominazioni. Inoltre, non si fa alcun accenno alle pratiche enologiche non consentite, come il divieto dell’uso di trucioli per le denominazioni di origine o l’uso di vitigni, lieviti o altro materiale Ogm.
C’è poi la questione del ridimensionamento del ruolo del Comitato Nazionale Vini e la creazione di un round europeo per il riconoscimento dei vini: il Comitato dovrebbe svolgere un ruolo ancora più importante come tavolo nazionale di confronto, soprattutto nel periodo di passaggio alla nuova Ocm, e diventare un organo di government della filiera vinicola italiana. Infine, se il principio dell’affidamento dei controlli ad enti terzi è condivisibile, è invece un errore negare ai Consorzi il primo livello dei controlli, il rispetto del Disciplinare, sminuendo il principio dell’autogoverno e del rispetto delle regole che deve essere condiviso dai produttori in una logica di sistema.

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