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Come cambia il mercato: il caso Champagne. In 10 anni crollo Francia e Uk, crescita in Usa e Asia

Forte l’impatto del 2020 del Covid, ma su trend di lungo periodo. L’analisi della American Association of Wine Economists

Tutti presi, giustamente, dal capire cosa è cambiato e cosa cambierà dopo la pandemia, a volte, si dimentica di quanto le cose, anche nel mondo del vino, siano già mutate in maniera velocissima, negli ultimi 10 anni. Basti pensare che le esportazioni di vino italiano, secondo i dati Istat, sono cresciute del 60% in valore, dai 3,9 miliardi di euro del 2010 ai 6,2 del 2020. Un risultato straordinario, al netto delle complessità della filiera e di un rapporto complesso tra imprese ed istituzioni, di cui spesso si sottolineano più le tante criticità che i grandi meriti. Ma esempi di cose considerate “immutevoli”, e che invece sono cambiate e come negli ultimi 10 anni, arrivano da tanti territori sacri del vino del mondo. Come lo Champagne, che se continua ad avere un prestigio ed un allure impareggiabili, ha visto mutare in maniera fortissima i suoi mercati, secondo i numeri del Comité Champagne, analizzati dall’American Association of Wine Economists. Da cui emerge, per esempio, che un 2020 ovviamente durissimo, ha solo “giocato il carico” su un trend di forte ribasso delle spedizioni a livello di mercato interno, tanto che in Francia, dalla Champagne, sono arrivate appena 113,3 milioni di bottiglie, rispetto alle 181,6 del 2011 (-37,6%). Un filotto di anni in calo, simile a quanto successo nel Regno Unito, passato da 34,5 milioni di bottiglie di Champagne spedite dalle maison nel 2011, ai 21,3 del 2020 (-38,4%), proprio negli anni in cui è esploso il Prosecco, che ha visto una crescita del 750% in Uk (da 113.780 a 967.710 ettolitri, pari ad oltre 129 milioni di bottiglie nel 2020 secondo i dati del Consorzio del Prosecco Doc, ndr). Giù anche la Germania, passata da 14,2 a 10,1 milioni di bottiglie (-28,7%), e in calo anche il Belgio, da 9,6 a 9 milioni di bottiglie (-5,9%), l’Italia, da 7,7 a 6,9 milioni di bottiglie (-9,2%, dopo il picco di 8,4 milioni di bottiglie nel 2019), e a Svizzera, da 5,7 milioni di bottiglie nel 2011, a 4,9 nel 2020 (-14,5%). In controtendenza, invece, gli Usa, passati da 19,4 milioni di bottiglie di Champagne nel 2011 a 20,8 nel 2020 (+7,6%, anche se il picco è stato nel 2019, con 25,7 milioni di bottiglie), il Giappone (da 8 a 10,8 milioni di bottiglie, +35,5%, con il massimo di 14,3 milioni di bottiglie nel 2019), ma anche l’Australia, passata da 4,9 a 8,5 milioni di bottiglie (+75%), e la Cina, da 2,9 a 3,5 milioni di bottiglie (+19,6%, con il record di 4,8 nel 2018).
Numeri che vanno inquadrati tendendo conto, chiaramente, di mille variabili, e di due anni, gli ultimi, assai complicati non solo dall’enorme impatto della pandemia, ma anche del percorso che ha portato alla Brexit, per esempio, o delle tensioni commerciali tra Usa ed Europa, con i dazi che, però, non hanno mai riguardato lo Champagne. Ma che fotografano comunque la dinamicità nel mercato del vino, e dello Champagne in particolare, in questo caso. Dove a cambiare, peraltro, sono anche i rapporti di forza nell’articolata filiera fatta di maison, vigneron e cooperative. Se queste ultime vedono stabile intorno al 9% il loro peso sul totale delle esportazioni, la quota dei vigneron (cioè coloro che producono champagne esclusivamente da vigenti di proprietà) è scesa dal 25% del 1999 al 19% del 2020, mentre quelle maison, di pari passo, è cresciuta dal 68% al 73%.

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