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COME COMUNICA L’AGROALIMENTARE? L’80% DELLE AZIENDE HA UNA FIGURA AD HOC, IL 38% FA DA SÈ, ANCHE ALL’ESTERO. BROCHURE (78%) BATTONO WEB (61%), PER AUMENTARE FIDUCIA DEI CONSUMERS (93%) E VENDITE (85%). IL BUDGET? POCO PER IL 57%. LO DICE MITO GROUP

Di agroalimentare e comunicazione è un gran parlare, ma poi, tradotto in cifre, qual’è lo “stato di salute”, del settore? L’80% delle aziende ha una figura ad hoc per la comunicazione, a fronte di un 38% che fa da sè, dai titolari agli amministratori delegati, ma, soprattutto, in un settore in cui l’export vale 21,3 miliardi di euro (nel 2010, dati Istat), il 52% non ha una figura che si occupi della promozione oltreconfine. Tra gli strumenti di comunicazione, la carta (“tradotto” cataloghi e brochure, 78%) e le fiere di settore (72%) battono la comunicazione digitale (“tradotto”, purtoppo, il web, 61%). E se tra gli obbiettivi del comunicare in testa ci sono la ricerca della fiducia del consumatore (93%) e l’aumento delle vendite (85%), per il 57% il budget non è sufficiente, quando, invece, bisognerebbe investire in fiere, promozione alle vendite e web 2.0, e affidarsi di più alle agenzie di comunicazione. E’ la fotografia scattata da “Come comunica l’agroalimentare”, indagine 2011 dell’agenzia di marketing, comunicazione & eventi Mito Group, su un campione di 50 aziende per metà piccole-medie e per metà di grandi dimensioni, sulle strategie di comunicazione e marketing internazionale adottate dalle aziende dell’agroalimentare italiano. Il risultato? Non si può certo dire che la comunicazione dell’agroalimentare non sia sviluppata, tuttavia i margini di miglioramento si presentano piuttosto ampi.

Quello dell’agroalimentare è un settore che ricopre un ruolo strategico nell’economia italiana grazie ai suoi notevoli margini di crescita e all’abilità con la quale è riuscito a rispondere agli influssi negativi della crisi mondiale globale degli anni 2007-2008. Secondo i dati Istat la quota export di prodotti agroalimentari ha infatti raggiunto nel 2010 la cifra di 21,3 miliardi di euro. Di fronte a questi dati, l’80% delle aziende intervistate nell’indagine (a cura di Mariastella Iacomino, laureanda al Corso di Laurea Magistrale in Lingue per la Comunicazione nell’impresa e nelle organizzazioni internazionali dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ndr) ha risposto di avere una figura dedicata alle attività di comunicazione, ma spesso sono proprio i titolari o gli amministratori delegati a ricoprire questo ruolo (38%).

Nonostante ciò, a dimostrazione della crescente consapevolezza di dotarsi di figure ad hoc per le attività di marketing e comunicazione, il 44% ha affermato di dotarsi di figure professionali quali responsabili marketing e comunicazione. Per quanto riguarda invece le attività di comunicazione internazionale, il 52% degli intervistati ha risposto di non dotarsi di una figura ad hoc in quanto spesso sono le figure già citate ad occuparsene. La conoscenza di una o più lingue straniere si rivela essenziale per la conduzione del proprio business a livello internazionale e non stupisce che per gli effetti della globalizzazione l’inglese sia la lingua più utilizzata con un dato dell’87%, a seguire in ordine di importanza francese, tedesco e spagnolo. In rarissimi casi si rileva anche l’utilizzo di lingue orientali. Per quanto concerne la padronanza di tali lingue, a parte le realtà delle aziende più internazionalizzate, all’utilizzo di una lingua straniera non corrisponde sempre un livello elevato di competenza linguistica e si rivelano necessari investimenti per la formazione di personale linguisticamente competente.

Gli strumenti di promozione e comunicazione più utilizzati risultano essere cataloghi/brochure (78%), fiere di settore (72%) e comunicazione digitale (61%), mentre pur riconoscendone le potenzialità per il successo del proprio business le relazioni con i media e l’utilizzo dei Social Network si rivelano strumenti meno utilizzati, rispettivamente con percentuali del 39 e 34%. Tra gli obiettivi del “comunicare” troviamo con una percentuale del 93% la motivazione “ottenere fiducia da parte dei customers” e con l’85% “aumentare il volume delle vendite”. Differenziazione ed esclusività sono tra i drivers principali della filosofia delle imprese, per cui non viene sentita l’esigenza di “adeguarsi allo standard adottato dalle altre imprese” e la necessità di “rispondere a momenti di crisi”.

Per il 57% delle imprese però le quote di budget destinate alle attività di comunicazione non sono sufficienti e si ritiene necessario indirizzare i propri investimenti futuri verso fiere di settore, promozione alle vendite e strumenti del web 2.0. A tal fine il ricorso alle agenzie di comunicazione potrebbe rivelarsi decisivo per la formulazione di strategie calibrate su ogni realtà aziendale, che permettano di raggiungere gli obiettivi sfruttando in modo accurato le potenzialità esistenti. Attualmente il 54% non ha mai fatto ricorso a tali servizi, il 24% qualche volta e solo il 22% spesso.

Per Mito Group, si tratta di una ricerca che “ha permesso di evidenziare luci e ombre relative alla comunicazione e al marketing internazionale nel settore agroalimentare. Non si può certo dire che tali attività non siano sviluppate, questo grazie ai trend positivi e alla dinamicità del settore; tuttavia, sono emerse diverse lacune, ma anche la consapevolezza di percorsi più efficaci per competere sul mercato. Occorre pertanto investire maggiormente nella promozione e nel marketing internazionale”.

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