“Primo e secondo, dolce e salato, freddo e caldo: non sono solo parole con cui noi parliamo di cibo ma sono anche alcuni dei modi che il cibo ha per parlare a noi, e di noi”. Come, lo analizza Gianfranco Marrone, semiologo dell’Università di Palermo nel suo ultimo saggio “Gustoso e saporito. Introduzione al discorso gastronomico”, gettando le fondamenta di quella semiotica del cibo che negli ultimi anni l’ha impegnato con ricerche sul campo e inquadramenti teorici.
Nessuno può confondere mangiare con alimentarsi e la tavola è al centro non della sola vita famigliare ma anche di quella sociale. A giudicare dall’aumento di offerta commerciale di ristorazione nelle strade delle città c’è anzi da chiedersi come facessimo ad alimentarci tutti prima. Il fatto è che oggi con il cibo non sostentiamo soltanto noi stessi, ma anche le nostre relazioni. Il cibo infatti significa: elabora valori, narra, costruisce discorsi. Inoltre il cibo comunica: presidia il campo sociale, anima dibattiti, si dispiega in eventi, genera economia. Gianfranco Marrone scopre così due veri e propri idiomi: il gustoso, con cui riconosciamo ciò che sta nel piatto; il saporito, con cui percepiamo sensorialmente aromi, temperature, consistenze. Sono le lingue parlate all’interno del discorso gastronomico.
“Se pensate di usare il tovagliolo semplicemente per pulirvi la bocca e le mani, vi sbagliate di grosso. In realtà celebrate a vostra insaputa un antichissimo rito di purificazione. Che faceva del corpo lo specchio dell’anima. Eliminare lo sporco dal primo, significava liberare dal peccato la seconda. L’autore ci guida in un avvincente periplo dell’universo alimentare. E dei suoi innumerevoli linguaggi, che ne fanno il più complesso e completo sistema di comunicazione umana”, scrive l’antropologo Marino Niola su “la Repubblica” sul volume per Bompiani che fa parte della collana Campo Aperto diretta da Stefano Bartezzaghi (giugno 2022, pp. 352, prezzo di copertina 25 euro), definendolo “una rigorosa e coraggiosa affermazione del cibo come pensiero. Come sistema cognitivo, come etica ed estetica, come poetica e politica che danno forma e ordine al mondo. E non solo al mondo del cibo. Di cui, peraltro, l’autore evita come la peste il birignao asfittico, la gergalità autoreferenziale, il “gastronomese” che parla solo a se stesso” e aggiungendo che “in effetti non siamo noi a parlare di cibo. Spesso e volentieri è il cibo a parlare di noi, e attraverso la sua superlingua è in grado di ricostruire il senso e l’origine del nostro essere nel mondo attraverso la tavola e i suoi simboli. Anche di quelli più quotidiani di cui abbiamo dimenticato la profondità. Come il tovagliolo, appunto”.
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