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COME SI RACCONTA IL CIBO NELLA SOCIETÀ 2.0? A “RISTOREXPO” A ERBA (COMO) IL MONDO DELL’ENOGASTRONOMIA HA TROVATO LE PAROLE DEL FUTURO: CONOSCENZA PER SODDISFARE LA “FAME” DI SAPERE DEGLI APPASSIONATI, MA ANCHE CREDIBILITÀ E L’INTRAMONTABILE EMOZIONE

“Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada”, ha detto il poeta e scrittore Rilke. A “RistorExpo” 2012, la fiera per i professionisti della ristorazione che si è chiusa oggi, a Erba (Como), il futuro dell’enogastronomia di qualità fa rima con il presente. Un presente dove il cibo sta cercando nuove forme di espressione. Oggi il cibo si mangia e di cibo si parla. Un racconto complesso che tocca aspetti emozionali, sociali e culturali della nostra vita. Ma come si racconta il cibo? Il convegno “Il cibo e le parole” ha sollevato il velo su una questione di grande attualità nella nostra società 2.0: come l’enogastronomia deve comunicare se stessa. Un percorso ideale tra le parole del cibo: da quelle del passato come territorialità, territorio, chilometro zero a quelle del presente come salutare e biologico per cercare di individuare quella che sarà la parola del futuro. E il mondo dell’enogastronomia l’ha trovata: conoscenza, per soddisfare la “fame” di sapere degli appassionati, che manda in pensione la territorialità, leitmotiv da 20 anni, ma anche credibilità, accanto all’intramontabile da sempre emozione.

“Questo non vuole essere un convegno - ha spiegato il giornalista e professore universitario Giacomo Mojoli - ma una chiacchierata e una riflessione attorno a una tematica di forte attualità, non solo in fiera, ma in generale nel mondo del gusto: come raccontare il cibo riuscendo a non essere autoreferenziali? Anni fa il mondo dell’enogastronomia non era considerato un pezzo dell’economia. Sui giornali il cibo veniva raccontato come fosse un menu di un ristorante: cosa si era mangiato o bevuto. Ma difficilmente il cibo si raccontava da un punto di vista culturale ed economico. Ecco perché ora più che mai è importante indagare su come sarà il racconto del cibo non oggi, ma nel futuro. E se 20 anni fa il concetto principe era la territorialità, oggi dobbiamo scoprire la parola del futuro”.

Per Marco Bolasco, direttore editoriale Slow Food ed esperto dei fenomeni del settore, la parola che caratterizzerà il futuro del cibo è conoscenza. L’attenzione mediatica e della rete nei confronti della cucina e dell’enogastronomia in generale dimostra, infatti, una diffusa “fame di sapere”. “C’è fame di sapere e di acculturarsi nel mondo del cibo - ha spiegato - oggi nascono luoghi dove si studia, si fa ricerca sul cibo (dalle università del gusto ai laboratori di ricerca delle aziende) che aprono un nuovo scenario non solo per i cuochi e gli addetti al settore ma anche per la carica di appassionati”.

Una schiera, quella dei cuochi e buongustai per passione, che ogni giorno diventa sempre più numerosa e, grazie alle potenzialità di internet, sempre più influente. “I cuochi - ha detto Davide Scabin, chef stellato del Combal.Zero - sono quelli che subiscono di più le parole, anche quelle dei blogger, che ormai sarebbe stupido non tenere in considerazione, mentre fino a qualche anno fa i cuochi snobbavano abbastanza la rete. Ora non ha più senso discutere se considerare o meno i blogger, ci sono e vanno considerati, ormai è una cosa scontata”. La parola d’ordine del cibo è dunque, per Scabin, l’intersezione fra le conoscenze: “bisogna ridisegnare l’immagine della cucina
italiana all’estero. È il momento di creare insieme, cuochi, operatori, critici e blogger un nuovo manuale di gastronomia italiana”.

Punta alla connessione tra professionalità e la quotidianità di chi cucina e mangia per pura passione anche la blogger Chiara Maci: “quando si parla di cibo - ha detto - non si può non parlare dei blogger. Siamo ibridi tra cuochi e appassionati e stabiliamo una connessione con la gente che vuole sperimentare, ma in modo semplice l’arte degli chef”. Per Chiara Maci la parola del futuro enogastronomico è credibilità: “serve credibilità perché la gente ha bisogno di sicurezza, di sapere che la ricetta che leggono sul giornale sia fattibile a casa.” Credibilità e fiducia che dal piatto passa ora anche attraverso le parole che lo raccontano. Parole che per questo sono difficili da trovare. Per il giornalista Andrea Petrini “a tutti noi, giornalisti-blogger-cuochi, manca un po’ la parola. Il cuoco è stato ridotto a una presenza fotografica sui giornali e sulle televisioni, un commesso viaggiatore che parte con la sua valigetta trasportando e ripetendo come un commediante in tournée la dimostrazione, lo spettacolo, il piatto pensato apposta per il congresso”. Parole che vanno ricercate in un caos meraviglioso di vocaboli per ritrovarne uno fondamentale che, nel passato e nel futuro della cucina, mette sempre tutti d’accordo: l’emozione.

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