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COMUNI DEL VINO, NIENTE BRINDISI PER LA “TOURIST TAX”. ALCUNI NON LA INTRODUCONO PERCHÉ NON C’È ACCORDO CON GLI OPERATORI, ALTRI NON POSSONO PERCHÉ MANCANO GLI STRUMENTI NORMATIVI. MA USATA E SPIEGATA BENE È UN’OPPORTUNITÀ DA NON PERDERE

Italia
Turisti del vino

La tassa di soggiorno nei piccoli comuni del vino, tra le realtà che ne avrebbero più bisogno per migliorare i servizi di accoglienza per quella che, spesso, è una delle poche risorse che hanno, oltre alla produzione agricola, sembra “rimandata a settembre”. Per l’estate 2011, praticamente, nessuno ha potuto o voluto introdurla. La questione è complicata: il Governo non ha adottato, entro il termine previsto del 6 giugno, il regolamento nazionale di attuazione, lasciando, di fatto, il tutto in mano ai singoli comuni. Il che non sarebbe un male assoluto, visto che, così, ogni municipalità potrebbe concertare con le organizzazioni di categoria i modi in cui attuarla e, soprattutto, gli scopi a cui destinarla, che è uno dei principali punti di divergenza. Solo che regna il caos. Il Decreto legislativo 23/2011 stabilisce che possano istituirla solo i capoluoghi di provincia e le unioni dei comuni. Tutti gli altri comuni, per poterla attuare, devono essere inseriti nell’elenco regionale delle località turistiche o delle città d’arte. Ma in alcune Regioni questi elenchi sono vecchi, e non si capisce se valgono per attuare la norma. È il caso della Toscana, per esempio, con Montepulciano, uno dei pochi, tra i tanti che abbiamo contattato, da Nord a Sud del Paese, che si dice pronto ad applicare la tassa, dopo aver trovato l’accordo con albergatori e operatori, ma dove l’unico elenco esistente è del 2009, redatto per gli orari del commercio e delle aperture nei giorni festivi, e mai recepito dalla Regione per le attività turistiche, tanto che si sta discutendo di come costruire il nuovo elenco. In altre Regioni, come il Piemonte, l’elenco ci sarebbe, ma c’è una sostanziale freddezza delle amministrazioni comunali sull’adozione del provvedimento, che molti vedrebbero come un nuovo balzello, di cui gli operatori turistici, per altro, non vogliono farsi carico. E così in Veneto e in Sicilia altri importanti distretti vinicoli italiani. Insomma, per ora non s’ha da fare, nonostante quando andiamo all’estero tasse simili le paghiamo tutti e senza storcere troppo il naso (a Parigi si va da 0,2 a 1,50 euro al giorno su tutte le forme di alloggio, a Barcellona è il 7% del conto totale di ospitalità, e si paga negli alberghi e nelle altre strutture ricettive; a New York, c’è la “hotel tax” che è il 14,5% del conto albergo più una tassa di occupazione di 3,5 dollari; ad Amsterdam, il 5% del conto totale delle strutture ricettive, riscosso dal gestore, per fare degli esempi). Inoltre, qualsiasi regolamento già messo in atto, e in vigore prima del 1 gennaio dell’anno successivo all’approvazione, e quindi del 2012, rischia di essere impugnato. Favorevoli le Città del Vino, come spiega il presidente Giampaolo Pioli, “a patto che ci sia accordo con le associazioni su modalità e scopi, che vanno definiti in modo preciso. Perché è logico che una tassa pagata dai turisti e che chiama in campo gli operatori non può essere utilizzata per fare cassa per ogni tipo di spesa”.
Insomma, la cosa fondamentale è capire che se una tassa simile viene riscossa ed utilizzata in modo chiaro e trasparente per chi la paga e per chi la utilizza, è indubbio che i vantaggi ricadrebbero come benefici su tutte le parti in causa e non solo.
Se utilizzata bene, una tassa sul turismo, infatti, può andare a beneficio di tutto un territorio. Può servire a coprire i costi pubblici che un alta intensità turistica richiede, da esempio, per la fornitura e la manutenzione di servizi che altrimenti sarebbero a carico dei soli residenti (servizi non a pagamento come edifici storici, fauna selvaggia, paesaggi), ma anche per affrontare le esternalità come la maggiore congestione nelle strade e il degrado ambientale. O, detto in parole più semplici, il miglioramento della qualità della vita di un territorio, e anche della sua capacità di ricevere e attrarre turisti.
Anche perché se le tasse sono ragionevoli e se ne vedono i benefici, non pesano poi tanto nelle decisioni dei turisti stessi.
Come ha spiegato Fabiola Sfodera, vicedirettore Citta-Centro Interdisciplinare Turismo Territorio e Ambiente di Sapienza Università di Roma e rappresentante italiano Unwto (United Nation World Tourism Organization, “affinché la tassazione sia efficace e venga rispettata e gestita correttamente dagli operatori deve essere la risultante di un processo di tipo partecipativo e non di tipo gerarchico; vi deve essere trasparenza e deve essere comunicata correttamente a tutta la domanda territoriale, tanto quella residente che turistica, sia per le persone che per le imprese; parte dei fondi provenienti dalla tassazione turistica debbono essere reinvestiti nel territorio sotto forma di progetti di accoglienza verso i turisti (miglioramento dei servizi, dialogo e creazione di relazioni anche attraverso social media e social network) e di progetti di valorizzazione dell’identità locale verso i residenti; deve essere realizzato un piano di comunicazione della tassazione sia verso gli operatori, sia verso i residenti che verso i turisti per a evidenziare, per ciascuno di essi, i benefici derivanti dalla sua introduzione. Lo scopo è quello di raggiungere credibilità, soddisfare i bisogni dei vari pubblici e sviluppare un apprezzamento emotivo”. Insomma, se gestita bene, la “tassa di soggiorno” può essere un’opportunità per tanti Comuni vinicoli e rurali che hanno strutturalmente poche risorse e che si trovano più in difficoltà di altri ad affrontare le ristrettezze economiche attuali. Speriamo che non sia un’occasione persa.

Focus - Ok alla legge per riqualificare i centri storici dei piccoli Comuni
In attesa di sapere come si svilupperà la vicenda della tassa di soggiorno, arriva una legge per la tutela e la riqualificazione dei centri storici dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti che, spesso, coincidono con realtà rurali e sono veri e propri scrigni per le tante eccellenze enogastronomiche del Belpaese. Il testo, che è stato approvato dalla Camera pressochè all’unanimità, ora passa al Senato. L’obiettivo del provvedimento è scongiurare lo spopolamento dei piccoli borghi. Oltre all’introduzione di un marchio dei “borghi antichi d’Italia” ed a una speciale tutela per i “centri commerciali naturali”, per gli interventi di riqualificazione, risanamento, conservazione e recupero, il testo approvato a Montecitorio istituisce un Fondo nazionale, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. A questo fondo, i piccoli comuni potranno accedere con una gara che verrà bandita annualmente. La somma stanziata e’ di 50 milioni di euro per il 2012. Tino Iannuzzi (Pd), primo firmatario di una proposta di legge che è confluita con la proposta analoga di Tommaso Foti (Pdl) nel testo unificato oggi varato, spiega i contenuti del provvedimento. “Si tratta di una legge - ha detto - che e’ diretta a favorire e incentivare la riqualificazione dei centri storici nei comuni e nelle unioni di Comuni con popolazione sino a 5.000 abitanti, attraverso interventi integrati pubblici e privati, con il contestuale e obbligatorio impiego di risorse dello Stato e di risorse dei proprietari di immobili privati, nonchè di imprenditori e operatori economici”. “Questi interventi - spiega Iannuzzi - prevedono il recupero e la ristrutturazione di edifici privati, la realizzazione di opere pubbliche e di infrastrutture, il miglioramento dei servizi urbani, il consolidamento statico e antisismico degli edifici storici. È previsto finanziamento per il 2012 di 50 milioni di euro che dovrà essere incrementato nei successivi anni con l’apposito fondo previsto nella legge di bilancio”. La legge “va nella direzione di puntare e investire sui centri storici e i borghi antichi - conclude Iannuzzi - che rappresentano un punto di forza, un momento di eccellenza e di qualità per l’intero sistema paese, capace di unire bellezze naturali, beni culturali ed architettonici di pregio, rispetto dell’ambiente, tradizioni enogastronomiche, esperienze di un artigianato e di una agricoltura di qualità”.

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