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MERCATI E FUTURO

Comunicazione, promozione e marketing del vino italiano in Usa: la “ricetta” Colangelo

A WineNews l’analisi dell’esperto di comunicazione: andamento positivo, promozione fondamentale, ma il futuro sarà all’insegna del digitale
COLANGELO & PARTNERS, GINO COLANGELO, USA, vino, Mondo
Gino Colangelo, alla guida della Colangelo & Partners Public Relations

Mentre l’Italia esce dall’emergenza, cercando di riconquistare una normalità perduta per mesi, negli Stati Uniti l’allerta Covid-19, inizialmente sottovalutata, continua a mordere: i numeri dei contagi, dopo un breve periodo di calo, hanno ripreso a galoppare, e molti Stati hanno dovuto fare marcia indietro, rimandando la riapertura di bar e ristoranti. Un problema enorme per il vino italiano, che Oltreoceano ha il suo primo mercato estero, ma forse la crisi potrebbe rivelarsi meno acuta di quanto ci si potrebbe aspettare, come racconta, a WineNews, Gino Colangelo, alla guida della Colangelo & Partners Public Relations, una delle agenzie di riferimento per la comunicazione ed il marketing del vino degli Stati Uniti. Attenzione, però, comunicare e promuovere i marchi di riferimento del vino italiano, oggi, è ancora più importante, per cui diventa vitale il supporto del mondo fieristico ed istituzionale, dal Vinitaly alla Italian Trade Agency. E poi, come da ogni crisi, c’è anche qualche aspetto positivo, come l’allentamento delle leggi americane che limitano la vendita diretta dal produttore al consumatore.
“In generale, l’andamento del vino italiano negli Stati Uniti è abbastanza positivo, nonostante le difficoltà poste dal Covid-19. Mentre le vendite si sono spostate verso il settore off-premise e verso l’e-commerce, i volumi di vendita non hanno subito cambiamenti drastici. Il Covid - spiega Colangelo - ha avuto certamente un impatto più negativo sui vini di nicchia, che richiedono una vendita diretta e più curata, “vis-à-vis”. In assenza di eventi che ne consentano la degustazione, e con la riduzione netta dei consumi nei ristoranti e nei bar, i canali di vendita tradizionali non sono più possibili per questa fascia di vini. Nell’epoca pre-Covid, erano i sommeliers i veri apripista dei cosiddetti boutique wines, ma adesso anche il loro ruolo è cambiato e questo ha avuto un impatto negativo sui prodotti più nuovi e di nicchia. Dall’altro lato, invece, vanno molto bene i marchi più riconosciuti e posizionati. Questo - continua Gino Colangelo - perché l’atteggiamento dei consumatori è assolutamente cambiato negli ultimi tempi: i consumatori non fanno più shopping ma semplicemente acquistano. Un famoso rivenditore di New York mi diceva che i suoi clienti entrano nel negozio già sapendo cosa vogliono. Vanno allo scaffale, prendono le bottiglie e pagano. Non chiedono aiuto né “navigano” tra le varie opzioni”.
“Per i produttori di prestigiose denominazioni italiane come il Chianti Classico o il Brunello di Montalcino, è fondamentale promuovere la propria denominazione come un marchio che dia fiducia alle scelte dei consumers. I produttori di denominazioni meno conosciute negli Usa, invece, potranno puntare sul riconoscimento della loro regione come marchio (ad esempio, la Toscana, per i produttori di Montecucco, o la Sicilia, per altri territori meno noti). La categoria del vino italiano, in generale, sta comunque andando bene.Sicuramente - sottolinea l’esperto di comunicazione - per aiutare tutti i produttori a vendere durante questi tempi difficili, è necessario spingere ancora di più il “marchio Italia” con azioni mirate da parte di istituzioni come l’Italian Trade Commission o Vinitaly. Per la categoria dei boutique wines, è molto importante che questi si adattino velocemente agli strumenti e alle piattaforme digitali per definire la loro immagine e posizionare il brand. A margine di tutto questo vorrei anche sottolineare che un effetto positivo del Covid-19 è stato sicuramente l’allentamento delle leggi americane che limitano la vendita diretta dal produttore al consumatore (Direct-to-Consumer shipping laws). I produttori italiani, grandi e piccoli, adesso hanno quindi l’opportunità di comunicare direttamente con i consumatori, con l’effetto positivo di aumentare il brand awareness, nonché iniziare un processo di vendita collaborando, ad esempio, con i rivenditori online. Sfruttando questo momento di allentamento della legge, per i produttori di vini di nicchia sarà poi più facile continuare a vendere una volta che i canali locali inizieranno a riaprirsi”.
Un grande punto interrogativo, in Usa come in tanti altri Paesi del mondo, riguarda invece gli eventi, perché dopo mesi in cui webinar e degustazioni su Zoom l’hanno fatta da padrone, adesso il vino italiano non vede l’ora di tornare protagonista degli eventi fisici, reali, di promozione e non solo, su cui, però, non c’è ancora alcuna certezza in termini di tempistiche. “È impossibile prevedere quando gli eventi fisici ripartiranno negli Usa e se saranno gli stessi di prima: il virus - commenta lapidario Colangelo - detta le sue regole. Per ora gli organizzatori di eventi (inclusa la mia azienda) stanno pianificando eventi ristretti in ambienti più protetti. L’esperienza degli eventi fisici, inoltre, varierà da Stato a Stato, a seconda dell’andamento dei contagi locali. Nel nostro ufficio abbiamo creato uno spazio apposito per piccoli eventi, per tasting con persone che si daranno il turno, a rotazione. I ristoranti e i wine bar stanno predisponendo soluzioni simili, con veri e propri spazi modificati per consentire tasting di vino in modo sicuro. Dall’altro canto, l’organizzazione di eventi di larga scala, come il Wine Spectator Wine Experience, sta andando avanti ma in realtà - mette in guardia Gino Colangelo - nessuno di noi può prevedere cosa succederà in autunno. Nonostante le misure, le cautele e le precauzioni prese ci chiediamo quanto e se le persone si sentiranno pronte a partecipare a questo tipo di eventi. L’impatto psicologico di tutta questa vicenda e’ molto forte e ci sono risvolti ancora troppo difficili da valutare e prevedere. In generale, penso che da oggi in poi gli eventi si struttureranno in un ibrido di attivazioni digitali seguite da degustazioni fisiche”.
Qualcosa, però, si può fare: le cantine italiane devono tenere ben saldi i rapporti con distributori ed importatori, ma anche intesserne di nuovi, e stretti, con il consumatore finale, esplorando nuove soluzioni, nuovi canali e nuove piattaforme. “I produttori italiani devono lavorare con i loro importatori, i distributori e i principali retailer - riprende Colangelo - per creare nuove occasioni di coinvolgimento e interazione diretta con i consumatori. Una cosa da fare per coinvolgere il consumatore finale è ad esempio usare la lista dei contatti di email delle persone che hanno visitato la cantina per tenerli aggiornati. O ancora aggiornare i profili (punteggi, reviews, foto, video) dell’azienda si piattaforme digitali di vendita come Wine.com, Vivino, SevenFifty. È anche fondamentale esplorare nuovi strumenti digitali per raggiungere il tipo di consumatori più adatto e potenzialmente interessato al brand. Ci sono tanti nuove piattaforme che consentono una comunicazione con un target selezionato e strumenti che rendono più immediato e veloce il passaggio dalla fase del riconoscimento del brand all’acquisto del prodotto”.
Quel che è certo, o quasi, è che la pandemia lascerà profondi mutamenti, che impatteranno, giocoforza, anche sul mercato del vino e sulla sua comunicazione, che difficilmente, secondo Gino Colangelo, torneranno quelli di prima. Il futuro passerà per strategie ibride ed una razionalizzazione, così, sia del tempo che delle risorse impiegate. “Non penso che il mondo della vendita del vino tornerà ad essere mai più come prima. Le cantine e i rivenditori più progressisti e aperti a sperimentare stanno già sondando metodi di comunicazione nuovi e più efficienti. Si pensi al fatto che, per esempio, un viaggio in Usa di una settimana per un membro di una cantina costa 10.000 dollari, tra volo e permanenza. Tre viaggi all’anno sono già 30.000 dollari. Non sarebbe, invece, meglio destinare queste somme alla comunicazione digitale, a mettere in piedi una database per le newsletter e comunicare direttamente col consumatore? Oppure, attraverso i partner e importatori, organizzare virtual tasting con i buyers più strategici? O ancora rafforzare il profilo di una cantina su un sito di e-commerce? La convergenza di vendita e comunicazione stava già accadendo nell’epoca pre-Covid ma adesso questo trend si sta accelerando. Penso che né i proprietari né i direttori del marketing delle cantine più innovative vogliano più tornare alla situazione del passato. Si affermeranno piuttosto strategie ibride di eventi fisici combinati con promozioni, vendite e processi di “brand building” rigorosamente online”.

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