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Con febbraio entrerà in vigore l’indicazione di origine del grano per la pasta e del riso venduti in Italia: secondo Coldiretti, un passo necessario per salvaguardare il made in Italy. A Fieragricola in anteprima le nuove etichette

Un pacco di pasta imbustato in Italia su tre è fatto con grano straniero senza alcuna indicazione per i consumatori: ma arriva l’etichetta d’origine per fare finalmente chiarezza su quello che è il prodotto simbolo del made in Italy e lo annuncia la Coldiretti alla Fieragricola di Verona, dove ha mostrato in anteprima le prime confezioni di pasta, ma anche di riso, con l’indicazione della provenienza, a due settimane dall’entrata in vigore del decreto che metterà in trasparenza quello che i cittadini portano in tavola. Una novità che, per Coldiretti, servirà a difendere il “Granaio Italia” contro l’invasione di prodotto straniero, spesso di bassa qualità, secondo l’organizzazione agricola, e trattato con sostanze vietate nel nostro Paese, con le speculazioni che hanno provocato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione, insieme ad una drastica riduzione delle semine e il rischio di abbandono per un territorio di 2 milioni di ettari coltivati situati spesso in aree marginali.

Ma l’etichetta darà ossigeno anche ai risicoltori italiano, “assediati” dagli arrivi di prodotto straniero spesso favorito dal regime particolarmente favorevole praticato nei confronti dei Paesi Meno Avanzati (accordo Eba), che prevede la possibilità di esportare verso l’Unione Europea quantitativi illimitati di riso a dazio zero. Ciò ha causato una vera e propria invasione di prodotto dai paesi asiatici, da dove proviene ormai la metà del riso importato. Il risultato è che un pacco di riso su quattro venduto in Italia contiene prodotto straniero. Nel mentre le quotazioni del riso italiano per gli agricoltori sono crollate dal 58% per l’Arborio e il Carnaroli al 37% per il Vialone nano, senza peraltro avere effetti sui prezzi al consumo. 

Secondo quanto previsto dal decreto, dal 17 febbraio prossimo le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicato in etichetta il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura; se proviene o è stato molito in più paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti diciture: “paesi Ue”, “paesi Non Ue”, “paesi Ue e Non Ue”. Inoltre, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”. L’indicazione in etichetta dell’origine per il riso scatta il 16 febbraio e deve riportare le diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione” e “Paese di confezionamento”. Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese. In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “Ue”, “non Ue”, ed “Ue e non Ue”.

Una scelta applaudita dal 96% dei consumatori che chiede venga scritta sull’etichetta in modo chiaro e leggibile l’origine degli alimenti e confermata in Italia anche dal Tar del Lazio che ha sottolineato come sia “prevalente l’interesse pubblico ad informare i consumatori considerato anche l’esito delle consultazioni pubbliche circa l’importanza attribuita dai consumatori italiani alla conoscenza del paese di origine e/o del luogo di provenienza dell’alimento e dell’ingrediente primario”. Sarebbe stato del resto assurdo impedire ai cittadini di conoscere la verità privandoli di informazioni importanti come quella di sapere se nella pasta che si sta acquistando è presente o meno grano canadese trattato in preraccolta con il glifosate, accusato di essere cancerogeno e per questo proibito sul grano italiano.

L’iniziativa italiana ha spinto la Commissione Europea ad avviare finalmente, con quattro anni di ritardo, una consultazione pubblica sulle modalità di indicazione dell’origine in etichetta come previsto dal regolamento europeo sulle informazioni ai consumatori n.1169/2011, entrato in vigore nel dicembre 2013. “Adesso occorre vigilare affinché la normativa comunitaria risponda realmente agli interessi dei consumatori e non alle pressioni esercitate dalle lobbies del falso made in Italy prodotto in Italia che non si arrendono ai pronunciamenti degli enti giudiziari e vogliono continuare ad ingannare i cittadini, cercando subdolamente di frenare nel nostro Paese l’entrata in vigore di una norma di trasparenza e grande civiltà” ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo.

L’obbligo di indicare in etichetta l’origine è una battaglia storica della Coldiretti: sotto suo pressing sono scattati l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati il 19 aprile 2017, dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo made in Italy mentre a partire dal 1 gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro. A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. Da aprile è appunto in vigore l’etichettatura d’origine per latte e derivati. Dopo pasta, riso e pomodoro resta però ancora da etichettare con l’indicazione dell’origine di un quarto della spesa alimentare degli italiani: dai salumi ai succhi di frutta, dalle confetture al pane, fino alla carne di coniglio.

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