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STASERA A “ULISSE” SU RAI 1

Con la scoperta dell’affresco di Dioniso Pompei svela “la grandezza di una ritualità antichissima”

Il Parco Archeologico: è una rara megalografia del I secolo a.C. con il corteo del dio del vino. Il Ministro Giuli: “33 milioni per nuovi scavi”

A più di 100 anni dalla scoperta della Villa dei Misteri (nota al mondo del vino perché “culla” di uno dei vigneti più importanti in cui è rinato il vino degli antichi romani, ndr), un nuovo grande affresco del I secolo a.C. getta luce sui misteri di Dioniso nel mondo classico. In una grande sala per banchetti, scavata nell’area centrale di Pompei, nell’insula 10 della Regio IX, è venuto alla luce un fregio a dimensioni quasi reali, ovvero una “megalografia”, che gira intorno a tre lati dell’ambiente, con il quarto aperto sul giardino, e che mostra il corteo di Dioniso, dio del vino: baccanti rappresentate come danzatrici, ma anche come cacciatrici feroci, con un capretto sgozzato sulle spalle o con una spada e le interiora di un animale nelle mani; giovani satiri con le orecchie appuntite che suonano il doppio flauto, mentre un altro compie un sacrificio di vino (libagione) in stile acrobatico, versando dietro le proprie spalle un getto di vino da un corno potorio (usato per bere) in una patera (coppa bassa); e, al centro della composizione, una donna con un vecchio sileno che impugna una torcia, un’inizianda, una donna mortale che, con un rituale notturno, sta per essere iniziata ai misteri di Dioniso, il dio che muore e rinasce, promettendo altrettanto ai suoi seguaci. È cosi che il Parco Archeologico di Pompei, oggi, ha comunicato al mondo la nuova sensazionale scoperta emersa dagli scavi archeologici più famosi al mondo, ribattezzata dagli archeologi come la “Casa del Tiaso”, proprio in riferimento al corteo di Dioniso. Pitture “meravigliose”, come le ha definite il direttore del Parco di Pompei Gabriel Zuchtriegel - che, stasera su Rai 1, Alberto Angela racconterà in una puntata speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta” (ore 21:30) - nelle quali “possiamo cogliere la grandezza di una ritualità che risale a un mondo arcaico”, e che l’antica città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., Patrimonio dell’Unesco, continua a svelare al mondo con i suoi scavi, per i quali, ha detto il Ministro della Cultura Alessandro Giuli, “il Governo ha stanziato 33 milioni di euro”.
Un ritrovamento incredibile che, restando in tema enogastronomico e della bellezza della convivialità della tavola e del vino che Pompei da sempre racconta al mondo, andando a ritroso, solo negli ultimi anni, arriva dopo la riapertura al pubblico, in seguito a 20 anni di restauri, della Casa dei Vettii, due liberti divenuti ricchi con il commercio di vino, ma che praticavano anche la prostituzione, con gli straordinari affreschi della stanza degli Amorini vendemmiatori e del trionfo di Dioniso, un capolavoro che riflette anche la ricchezza del territorio, dove si produceva vino per esportarlo in tutto il Mediterraneo; e dopo le scoperte dell’affresco che raffigurerebbe una pizza o almeno un lontano “antenato” di uno dei piatti-simbolo e più amati dell’Italia nel mondo, rinvenuto nei nuovi scavi dell’insula 10 della Regio IX, e di una bottega di street food “ante litteram” nella piazzetta del quartiere del termopolio della Regio V, capace di raccontare i gusti e abitudini dei nostri antenati. E tutto questo, mentre a Pompei si continuerà a coltivare la vite con Feudi di San Gregorio, la griffe “custode” dei “patriarchi della vite” in Campania, che si prenderà cura dei vigneti dell’Azienda Agricola del Parco Archeologico più visitato al mondo, a conferma di come la città romana sia un vero e proprio giacimento di archeologia “agroalimentare”. Come dimostrano anche le ricerche sulla cucina pompeiana dello chef Paolo Gramaglia, una stella Michelin al ristorante President con vista sugli scavi Pompei, a partire dai “panis” antichi.
Nell’antichità, spiega il Parco Archeologico di Pompei a proposito della nuova scoperta, esistevano una serie di culti, tra cui quello di Dioniso, che erano accessibili solo a chi compiva un rituale di iniziazione, come suggerito nel fregio. Tali culti si chiamavano “misterici”, perché solo gli iniziati potevano conoscerne i segreti. Spesso erano legati alla promessa di una nuova vita beata, sia in questo mondo sia in quello dell’oltretomba. Il fregio scoperto a Pompei è attribuibile al II Stile della pittura pompeiana, che risale al I sec. a.C. Più precisamente, il fregio può essere datato agli anni 40-30 a.C.: questo significa che nel momento dell’eruzione del Vesuvio, che seppellì Pompei nel 79 d.C. sotto lapilli e ceneri, il fregio dionisiaco era già vecchio di circa un secolo.
L’unico altro esempio di una megalografia con rappresentazioni di simili rituali è il fregio detto “dei Misteri” nella celebre Villa
fuori le porte di Pompei, anche esso in II Stile pompeiano. Ma il nuovo fregio trovato a Pompei, rispetto alla Villa dei Misteri aggiunge un altro tema all’immaginario dei rituali iniziatici di Dioniso: la caccia, che viene evocata non solo dalle baccanti cacciatrici, ma anche da un secondo, più piccolo fregio che corre al di sopra di quello con baccanti e satiri, in cui sono raffigurati animali vivi e morti, tra cui un cerbiatto e un cinghiale appena sventrato, galli, uccelli vari, ma anche pesci e molluschi.
“Tra 100 anni la giornata di oggi verrà vissuta come storica, perché storica è la scoperta che mostriamo - ha detto il Ministro della Cultura Alessandro Giuli - la megalografia rinvenuta nell’insula 10 della Regio IX apre un altro squarcio sui rituali dei misteri di Dioniso. Si tratta di un documento storico eccezionale e, insieme a quella della Villa dei Misteri, costituiscono un unico nel loro genere, facendo di Pompei una straordinaria testimonianza di un aspetto della vita della classicità mediterranea in gran parte sconosciuto. Tutto questo rende importante e preziosa la ripresa delle attività di scavo a Pompei, che il Governo sostiene convintamente e per la quale, di recente, ha stanziato 33 milioni di euro per interventi di scavo, manutenzione programmata, restauro e valorizzazione in questo sito e nel territorio circostante. Viviamo un momento importante per l’archeologia italiana e mondiale che ha registrato anche un forte incremento dei visitatori, a partire da questo Parco Archeologico: oltre 4 milioni e 87.000 presenze nel 2023 e 4 milioni e 177.000 unità nel 2024”.
“La caccia delle baccanti di Dioniso - spiega il direttore del Parco di Pompei Gabriel Zuchtriegel - a partire dalle “Baccanti” di Euripide del 405 a.C., una delle più amate tragedie dell’antichità, diventa una metafora per una vita sfrenata, estatica, che mira a “qualcosa di diverso, di grande e di visibile”, come dice il coro nel testo di Euripide. La baccante esprimeva per gli antichi il lato selvaggio e indomabile della donna; la donna che abbandona i figli, la casa e la città, che esce dall’ordine maschile, per danzare libera, andare a caccia e mangiare carne cruda nelle montagne e nei boschi; insomma, l’opposto della donna “carina”, che emula Venere, dea dell’amore e delle nozze, la donna che si guarda nello specchio, che si “fa bella”. Sia il fregio della casa del Tiaso sia quello dei Misteri mostrano la donna come sospesa, come oscillante tra questi due estremi, due modalità dell’essere femminile a quei tempi. Sono affreschi con un significato profondamente religioso, che però qui avevano la funzione di adornare spazi per banchetti e feste. Un po’ come quando troviamo una copia della Creazione di Adamo di Michelangelo su una parete di un ristorante italiano a New York, per creare un po’ di atmosfera. Dietro queste meravigliose pitture, con il loro gioco con illusione e realità, possiamo vedere i segni di una crisi religiosa che stava investendo il mondo antico, ma ci possiamo anche cogliere la grandezza di una ritualità che risale a un mondo arcaico, almeno fino al II millennio a.C., al Dioniso dei popoli micenei e cretesi, che era chiamato anche Zagreus, signore degli animali selvatici”.
Gli scavi della Regio IX di Pompei hanno restituito due case ad atrio, già parzialmente indagate nell’Ottocento, costruite in età Sannitica e trasformate nel I secolo d.C. in officine produttive, una fullonica (lavanderia) e un panificio con il forno, con gli spazi per le macine e gli ambienti per la lavorazione dei prodotti alimentari da distribuire in città, ma anche ambienti di soggiorno, pertinenti ad una grande domus. Tra questi, oltre al grande ambiente con scene dionisiache, un salone nero con scene tratte dalla saga troiana, un sacrario a fondo azzurro con le quattro stagioni e allegorie dell’agricoltura e della pastorizia e un grande quartiere termale. Restano ancora inesplorati l’ingresso, il quartiere dell’atrio e gran parte del peristilio (giardino colonnato). Che vuol dire, che ne vedremo ancora delle belle grazie a Pompei ed alla “Campania felix”.

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