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CONFAGRICOLTURA: GRAZIE A VINO, MODA E TURISMO SI DIFFONDE IL MADE IN ITALY

Vino e moda sono i migliori ambasciatori del made in Itay: lo hanno confermato da Torino alcuni dei nomi più prestigiosi del mondo produttivo, economico e finanziario legati alla moda e al comparto vitivinicolo, riuniti a discutere in un incontro organizzato dalla Confagricoltura.
C’è chi al rosso del vino ha dedicato un’intera collezione, come la stilista Chiara Boni, e chi alla nobile bevanda abbina il richiamo turistico, come Ornella Venica, produttrice friulana e presidente nazionale del Movimento del Turismo del Vino. “Perché – come ha sottolineato Gianfrancesco Orsolani, produttore di Erbaluce sulle colline piemontesi del Canavese – il vino buono si produce soltanto in ambienti molto belli dal punto di vista paesaggistico, che meritano di essere maggiormente conosciuti ed apprezzati”. Ma moda e vino hanno successo soltanto se i prodotti proposti sono di alto livello, e al meglio non c’è limite. “La qualità – ha sottolineato il toscano Lapo Mazzei, produttore storico di Chianti – è dinamica e la sfida è raggiungere il massimo in ogni contesto”. L’offerta deve dunque puntare all’eccellenza e il vino, con il suo territorio, può diventare strumento di crescita anche per il turismo di nicchia. “Il turismo segmentato, di nicchia – ha chiarito il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca – è trainato dal vino ed è anche quello meno soggetto alle variazioni di mercato”. Mercato che in questo periodo, soprattutto negli Stati Uniti, subisce leggere flessioni in seguito al terrorismo internazionale. “Ma i produttori sapranno recuperare il terreno anche su altre piazze – ha previsto l’opinionista ed esperto di mercati internazionali Gelasio Gaetani d’Aragona – a partire dall’Asia, dove i consumi sono costantemente in crescita”. Il vino è importante dal punto di vista economico – e lo ha ribadito Stefano Piastra di Meliorbanca, merchant bank che investe anche nel settore agricolo – ma rappresenta soprattutto la nostra civiltà. Per Ezio Rivella, manager vitivinicolo di successo, ora presidente dell’Unione Italiana Vini, per crescere ancora bisogna recuperare competitività. “Le imprese vitivinicole che operano nei Paesi extraeuropei possono lavorare più agilmente: cercano gli acquirenti, progettano un vino, impiantano i vigneti e confezionano le bottiglie. In tutto impiegano tre, quattro anni. Con la nostra impostazione normativa, soprattutto in Italia, per attuare un processo del genere occorrono non meno di quindici anni e il mercato non conosce i tempi della burocrazia”. Sull’argomento tutti si sono dichiarati d’accordo, ma con un limite. “La salubrità del prodotto viene prima di tutto. I consumatori devono sapere che in Cile e in Argentina, per citare un esempio, le regole di produzione sono molto diverse dalle nostre. Oggi il vino è di moda – ha detto Piergiovanni Pistoni, componente di giunta della Confagricoltura con delega al comparto vino – e questi Paesi hanno interesse ad espandere gli impianti, ma senza regole non si va molto lontano: i meccanismi utili per raggiungere l’equilibrio tra domanda ed offerta sono indispensabili per il futuro della viticoltura”. E infine il dibattito: meglio vitigni autoctoni o internazionali? Per Carlo Cambi, giornalista direttore dei Viaggi di Repubblica dobbiamo produrre vini riconoscibili e coerenti con il territorio, dunque con vitigni autoctoni. “Ma l’importante è ricercare il vitigno giusto per ogni terreno e per questo servirebbe una zonazione scientifica del territorio – ha aggiunto il produttore toscano Gian Annibale Rossi di Medelana – perché un vino, per essere autentico, oltre al vitigno e all’ambiente, deve esprimere la sensibilità del produttore”.

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