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CONOSCENZA DELLE LEGGI E DELLA CULTURA, PARTNER LOCALI PER LA DISTRIBUZIONE, ATTIVITÀ EDUCATIVE PRIMA DI VENDERE: ECCO CIÒ CHE MANCA AL WINE & FOOD ITALIANO IN CINA PER DISTRIBUTORI E IMPORTATORI TOP DI SHANGHAI DAL “CHINA BUSINESS INCUBATOR” A PARMA

Le aziende italiane presenti in Cina sono oggi 900, molte delle quali del comparto alimetare, ed il volume d’ affari tra Italia e Cina nel 2011 si è attestato a circa 51 miliardi di dollari. E se l’export globale dell’alimentare made in Italy vale 33 miliardi di euro e circa 3 miliardi sono fatturati “overseas”, di questi, circa un terzo è realizzato in Cina, dove l’export è cresciuto del 36% nell’ultimo anno, con un fatturato complessivo di oltre 248 milioni di euro. E dove il wine & food made in Italy c’è, con una presenza diffusa ma non ancora rilevante, che può migliorare solo con la conoscenza delle leggi e della cultura cinese, la ricerca di partner locali per la distribuzione e con la promozione di attività educative prima di vendere. E’ emerso a “China Business Incubator”, seminario dedicato al mercato cinese e ai suoi rapporti commerciali con il settore alimentare italiano, primo appuntamento, a Fiere di Parma l’11 e 12 luglio, del progetto lanciato per conto del Consorzio Italia del Gusto, che riunisce le più importanti realtà italiane del wine & food, da Gea, società di consulenza strategica indipendente che accompagna le imprese italiane nella loro crescita, e dove i principali importatori e distributori dell’area di Shanghai hanno illustrato le opportunità e le chiavi di accesso al loro mercato, sia in termini di tipologie che di presentazione dei prodotti. Per supportare i contatti di business delle aziende, alla due giorni hanno preso parte anche Intesa Sanpaolo, il Ministero della Salute, l’Ice Centrale e l’Ufficio di Shanghai, Simest, Sace, e la Fondazione Italia China.

“Le aziende italiane hanno bisogno di molta informazione e formazione per capire il mercato cinese: quello dell’alimentare è un settore complesso, con una cultura diversa dalla nostra e tradizioni alimentari antiche. Al momento in Cina c’è una presenza diffusa del food & wine italiano, ma è ancora poco estesa per poter essere rilevante”, hanno ricordato Mario Preve e Alberto Volpe, membro del board e direttore di Italia del Gusto. Il mercato cinese è infatti aperto alle aziende alimentari italiane, ma occorre fare grande attenzione a come si entra in questa realtà complessa. I prodotti italiani più richiesti sono, nell’ordine, vino, olio, caffè, cioccolato, pasta e formaggio (fonte Metro China) e per proporli ai consumatori cinesi servono piani di fattibilità assai ben studiati. Grande conoscenza delle leggi e della cultura cinese e in particolare dell’area dove si vuole investire; partner locali che favoriscano l’approccio alla distribuzione e attività “educative” per far conoscere i prodotti prima di passare alla vendita, sono le tre fasi più importanti evidenziate dagli importatori.

Oggi le aziende italiane presenti in Cina sono 900 ed il volume d’ affari tra Italia e Cina nel 2011 si è attestato a di circa 51 miliardi di dollari. Delle 900 aziende presenti sul mercato, diverse sono del comparto alimentare. “L’export globale dell’alimentare made in Italy vale 33 miliardi di euro - ha ricordato Antonio Cellie, ceo di Fiere di Parma - e circa 3 miliardi sono fatturati overseas. Di questi, circa un terzo è realizzato in Cina”. L’export del settore wine & food made in Italy verso la Cina è cresciuto nell’ultimo anno del 36%, con un fatturato complessivo di oltre 248 milioni di euro. In particolare, il mercato delle bollicine sembra essere molto attrattivo per i buyers del Paese del Dragone, se consideriamo che lo scorso anno le vendite hanno registrato un incremento del 236%. Naturalmente ai prodotti italiani vanno applicate etichette esplicative in lingua cinese, ma facendo attenzione a non coprire troppo l’etichetta originale. “Per i cinesi di fascia alta, vino italiano significa lusso, tradizione, storia e l’etichetta racconta l’impegno antico delle famiglie italiane produttrici di vino”, ha detto Manuel Arce di Cws, società specializzata nella commercializzazione di vino e liquori in Cina. Nel Paese inoltre c’è ancora molto spazio di crescita per il vino italiano: nonostante il boom dello spumante, il nostro Paese è al quarto posto nella classifica dell’import cinese, dopo Francia, Australia e Cile. Rimanendo in campo enologico - ma la regola, è stato più volte evidenziato, vale anche per tutti gli altri prodotti del settore food - le fasi cruciali sono fondamentalmente tre: educational/degustazioni/vendita.

Nonostante il successo evidenziato per esempio dalla crescita della vendita dei prodotti vinicoli, a Parma è stato sottolineato come esistono ancora grandissime barriere non tariffarie che rallentano e in molti casi bloccano le esportazioni di prodotti alimentari made in Italy in Cina. Per questo è arrivato un appello pragmatico ad Ambasciate, Ministeri ed Istituzioni: concentriamoci sull’abolizione delle barriere non tariffarie, dal seminario di scena a Parma, “un modello di “fiera al contrario” - per Luigi Consiglio, presidente di Gea - dove non sono le aziende a cercare le opportunità commerciali ma sono i distributori e gli importatori per i canali supermercati e ho.re.ca. ad offrire alle aziende un supporto per espandere il loro business in Cina. Il tutto con una serie di suggerimenti anche pratici su come impostare ad esempio la comunicazione destinata a questo mercato e per presentare il prodotto italiano in modo da attrarre i consumatori del Paese”.

E proprio sulla presentazione dei prodotti ha insistito Hiufan Tsang, rappresentante di Sinodis, società cinese specializzata nell’import e nella distribuzione alimentare che ha evidenziato come “servono etichette in cinese, un packaging più in sintonia con la cultura orientale, meglio ancora se realizzato ex novo proprio per questo mercato”. Tsang ha poi sottolineato come nell’export verso la Cina sia importante la “Shelf Life” dei prodotti, ovvero l’arco temporale della durata del prodotto stesso. Fresco a parte, molte referenze viaggiano ancora via mare per cui per esempio un prodotto congelato con shelf life di sei mesi, ha un tempo reale di vendita sugli scaffali di circa tre settimane.“Ricordatevi - ha aggiunto Tsang - che finire sugli scaffali dei negozi cinesi non basta, bisogna frequentare il mercato per capire cosa funziona e cosa no, è indispensabile avere persone sul posto che verificano quello che succede. Da lontano non si può fare nulla”.
Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia Cina, che ha da poco accompagnato nel viaggio a Pechino il Premier Mario Monti, ha evidenziato come “la Cina, con il Pil in crescita, nonostante la crisi mondiale, continua a rappresentare un’opportunità per il nostro Paese. Ma per entrare in Cina servono preparazione e umiltà”. Romiti ha inoltre illustrato due importanti progetti che la Fondazione Italia Cina sta portando avanti con il Ministero degli Affari Esteri, 9 regioni italiane e il Governo cinese. Il primo, denominato “Guangdong Italy Traineeship” si pone come obbiettivo il rafforzamento delle relazioni economiche tra le nove regioni partner e la provincia del Guangdong attraverso azioni di formazione e di traineeship rivolti a dirigenti/manager privati delle regioni italiane e del Guangdong e la realizzazione di momenti pubblici. Il progetto è rivolto alle imprese e nella selezione dei partecipanti si terrà conto delle filiere di maggior rilievo in termini di opportunità in una prospettiva di incontro tra offerta di competenze italiane e potenzialità di collaborazione e sviluppo anche commerciale con l’imprenditoria cinese e, più in generale, con la domanda di questo mercato. Il secondo progetto, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, prevede la realizzazione di una missione plurisettoriale di imprese della regione che avranno incontri istituzionali e di business con controparti cinesi, sia a Hong Kong che nella Provincia del Guangdong.

Francesco Boggio Ferraris, direttore della Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia Cina, ha illustrato, infine, uno spaccato sulla cultuira cinese. Per avere successo e fare breccia su questo mercato è importante infatti non solo conoscere e adattarsi agli usi e alle consuetudini locali ma soprattutto avvicinarsi ad una cultura così diversa da quella occidentale cercando di contenere le emozioni e imparando ad ascoltare. Senza avere fretta, perché non bisogna essere impulsivi per conquistare la fiducia dei consumatori cinesi.

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