Dopo aver già espresso il proprio disappunto in occasione dell’apertura dei lavori, Slow Food Italia torna sulla Cop29, la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici del 2024 di Baku, conclusasi il 22 novembre, e accusata dalla Chiocciola di aver “prodotto risultati deludenti”. Secondo il movimento fondato da Carlo Petrini, infatti, le ambizioni dell’evento “erano parse insufficienti fin da principio” dal momento che è stata ospitata in Azerbaijan, “nazione che sull’estrazione di petrolio e gas naturale basa gran parte delle proprie sorti economiche”. Tra i vari obiettivi prefissati dalla Cop29 c’era anche quello di stanziare una cifra che i Paesi più avanzati dovrebbero mettere a disposizione di quelli meno sviluppati, per difenderli dagli effetti della crisi climatica e per sostenerne la transizione energetica. L’accordo è stato trovato per la somma di 300 miliardi di dollari all’anno, ma per Slow Food Italia si tratta di una cifra “insufficiente, come sottolineato dalla stragrande maggioranza degli osservatori” ed è inoltre “impietosamente bassa se confrontata con le spese militari a livello globale, circa sette volte più alte, o al denaro mobilitato in fretta e furia per salvare, ad esempio, le banche statunitensi dal crac di inizio millennio”.
Non solo. Secondo la Chiocciola “è una contraddizione” che tra i Paesi incaricati di contribuire economicamente al raggiungimento dei 300 miliardi di dollari non ci siano “Emirati Arabi Uniti, Qatar, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, che hanno livelli di emissioni di Co2 pro capite tra i più alti al mondo”.
E a proposito di Stati, Slow Food lamenta e propone un ripensamento sul meccanismo di definizione di Paesi più o meno sviluppati: in particolare viene osservato come “Cina, India e Brasile, che sono tre delle prime dieci economie (per Pil) a livello globale, si trovino nella lista dei Paesi definiti meno sviluppati”. Poi il rammarico sul fatto che a Baku “gas, carbone, petrolio e soprattutto i sistemi agroalimentari, cioè le principali cause dei gas climalteranti” siano “rimasti fuori dalle discussioni che contano”.
Infine, una riflessione: “essere arrivati alla conferenza sul clima numero 29 e parlare ancora di una “road map” per definire chi e come contribuirà al fondo è di per sé un fallimento - scrive Slow Food Italia - in quasi tre decenni, i passi avanti sul clima sono stati gravemente insufficienti, e lo dimostrano i dati scientifici e l’intensificarsi di fenomeni estremi a ogni latitudine. In trent’anni, alle parole non sono mai seguiti fatti in grado di imprimere un cambiamento”.
Espresso, invece, ottimismo per la Baku Harmoniya Climate Initiative for Farmers, la piattaforma Fao volta a unire le iniziative e i programmi che, a livello globale, sostengono la trasformazione dei sistemi agroalimentari per renderli più resilienti ai cambiamenti climatici. L’iniziativa è stata definita “lodevole”: stando a quanto annunciato a Baku, Harmoniya sarà una sorta di bussola a disposizione degli agricoltori, utile a orientarsi tra le opportunità per generare un impatto maggiore a partire dalle lezioni apprese a livello locale.
“Se però i sistemi agroalimentari contribuiscono per oltre un terzo alle emissioni mondiali di gas a effetto serra - incalza la presidente Slow Food Italia Barbara Nappini - oltre alle iniziative di adattamento è indispensabile e quanto mai urgente adottare azioni di mitigazione. La riduzione dell’impatto ambientale della produzione di cibo sia una priorità assoluta e la politica se ne faccia carico”. Stop, dunque, ai proclami e basta con le promesse, secondo il movimento: “la lotta climatica non può ridursi al politicamente corretto e agli slogan folcloristici - conclude Nappini - né essere ascritta ad azioni eroiche individuali, ma deve essere una prassi quotidiana, un’azione politica primaria sostenuta da un quadro normativo adeguato ai tempi e alla gravità della situazione. Ciascuno di noi, ogni giorno, ribadisca questa pretesa”.
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