In Corea del Sud cresce il mercato del biologico, che, nel retail, ha registrato vendite per 485 milioni di euro. Tra il 2017 e il 2022, le superfici coltivate per prodotti bio sono aumentate del 91% e la spesa media pro-capite dei sudcoreani è di 9,3 euro: il target sono famiglie con bambini, giovani under 27, persone con redditi e titoli di studio alti e uno stile di vita sostenibili. Stando ad una analisi, condotta da Nomisma per conto della piattaforma Ita.Bio e promossa da Agenzia Ice, il 41% dei consumatori si è dichiarato intenzionato ad aumentarne il consumo di prodotti biologici di origine italiana nei prossimi due-tre anni, il 68% si dichiara soddisfatto della qualità dei prodotti made in Italy e un ulteriore 53% valuta positivamente la presenza e la varietà dei nostri prodotti presso la ristorazione locale. I prodotti che piacciono di più sono formaggi, pasta e vino: in particolare, riguardo quest’ultimo, quattro consumatori su dieci dichiarano di averlo bevuto almeno una volta nell’ultimo anno: negli ultimi 20 la crescita del settore in termini di valore in Corea del Sud è del 77%. Secondo gli intervistati, l’Italia è al secondo posto, dopo la Francia, tra i Paesi che producono i vini di maggiore qualità.
Un posizionamento nel percepito - spiega Nomisma - che porta in alto l’interesse per i nostri vini biologici consumati ad oggi solo dal 19% degli user di vino, persone che appartengono prevalentemente al ceto più alto della società. Tra i fattori motivanti per accrescere il consumo di vino a marchio bio al primo posto si trova la leva del prezzo che secondo i consumatori dovrebbe essere più accessibile (56%), o soggetta a offerte e promozioni (44%). Per favorire i consumi potrebbe essere interessante proporre esperienze e tasting nei negozi che frequentano abitualmente (31%), ma anche un ampliamento dell’offerta a scaffale nella grande distribuzione (24%) e per la ristorazione locale (20%). Dall’indagine emerge come un sudcoreano su tre abbia consumato almeno un prodotto italiano nell’ultimo anno e il 22% ha acquistato almeno un prodotto italiano a marchio bio: “in Corea del Sud il biologico sta acquisendo un ruolo sempre più strategico nella spesa alimentare - spiega Aldo Cervi, coordinatore in FederBio - piattaforme come la nostra costituiscono uno strumento importante per creare significative opportunità di espansione per le aziende biologiche italiane nel mercato sudcoreano. In generale, negli ultimi dieci anni, le esportazioni di bio italiano sono cresciute complessivamente del 189 %, mentre l’incidenza del bio italiano nell’export globale di agroalimentare è del 6%”. Secondo i consumatori però, le caratteristiche e le garanzie del prodotto Bio italiano e in generale del marchio Bio europeo, devono essere approfondite tra i consumatori: quasi nove su dieci infatti vorrebbe avere maggiori informazioni, soprattutto su tracciabilità e controlli effettuati sul prodotto bio.
“Al termine del 2023 l’export di prodotti bio italiani in Corea del Sud ha inciso per il 6% sul totale delle esportazioni del comparto agroalimentare, attestandosi a oltre 3,6 miliardi di euro, con un aumento del +8% sull’anno precedente - racconta Ferdinando Gueli, direttore dell’ufficio dell’agenzia Ice di Seoul - Sebbene la spesa procapite sia ancora relativamente bassa, le famiglie e i giovani con elevato potere di acquisto orientano le scelte di consumo verso i prodotti biologici, percepiti come migliori per la salute, di alta qualità e sostenibili per l’ambiente. Bisogna quindi insistere sulle iniziative di educazione ai consumatori e favorire la conoscenza del marchio di qualità “bio” quale elemento di garanzia per l’acquisto”.
Secondo Nomisma, tra le leve da attivare per accrescere il consumo dei prodotti Bio Italiani vi è quella di un maggior assortimento dei prodotti nella grande distribuzione con una maggiore visibilità del prodotto a scaffale. Nello specifico, dall’indagine emerge come il 47% dei consumatori coreani sarebbe pronto ad acquistare un nuovo prodotto bio Made in Italy se lo trovasse presso i punti vendita abituali, mentre un ulteriore 28% lo comprerebbe se avesse un brand conosciuto o se fosse funzionale per la propria salute: “riteniamo questi dati rilevanti a supporto delle strategie di internazionalizzazione delle aziende italiane che vogliono esportare i propri prodotti bio o migliorare il proprio posizionamento strategico su questo interessante mercato”, ha detto Silvia Zucconi, responsabile market intelligence Nomisma.
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