Da un lato, la creazione di una “Doc Campania”, capace di fare da ombrello a tutti i territori, e alle 19 Dop e 10 Igp dei vini campani che già esistono, migliorandone la percezione sui mercati, sulla quale il confronto tra Consorzi, aziende e Regione è complesso, tanto quanto la diversità degli stessi territori, ma aperto, e che può essere la strada per rafforzare il brand di una Regione il cui nome è ancora poco conosciuto, anche per aver “vissuto di rendita” su siti turistici che sono tra i più noti e visitati al mondo, come la Costiera Amalfitana e Pompei, e che rappresentano di per sé dei brand fortissimi. Dall’altro, lo stesso Parco Archeologico di Pompei punta a produrre un “vino pompeiano”, capace di racchiudere in bottiglia archeologia, cultura ed agricoltura, “fiore all’occhiello” del progetto di una vera e propria Azienda Agricola Pompei, in partnership con un’azienda privata che collabori alla coltivazione delle “viti degli antichi romani” e all’impianto di nuove - con l’obbiettivo di arrivare a 5,8 ettari di vigneti tra l’antica città e gli altri siti, dagli attuali 1,7 - valorizzando il patrimonio di biodiversità e rigenerando un territorio che fin dall’antichità è tra i più fertili al mondo, e diventando meta anche di turismo rurale, il cui trend è in crescita. In un senso o nell’altro, meglio ancora se le due cose andranno nella stessa direzione, la “Campania Felix”, come la descrisse Plinio il Vecchio, terra di viticoltura e sapori antichissimi, oggi tra i giacimenti enogastronomici più importanti d’Italia - per prodotti riconoscibilissimi ma anche per stelle Michelin - che vuole fare sinergia in un’ottica di “distretto”, è la conferma di come il vino e il cibo rappresentino un testimonial straordinario, capace di evocare e raccontare la bellezza del nostro Paese, se legati ai simboli del patrimonio culturale.
Se la Campania sia pronta ad una Doc regionale “è una questione ancora molto aperta. L’argomento è complesso, così come la Campania del vino è molto diversa nei suoi territori e nella conformazione delle sue aree di produzione. Ma è un argomento che ci affascina - ha detto, a WineNews, Ilaria Petitto, vice presidente del Consorzio Vini d’Irpinia - il Consorzio ne sta discutendo con le aziende, con gli altri Consorzi dei vini campani e con la Regione, perché siamo a favore della creazione di un brand regionale, ma che è tutta ancora in salita e in Irpinia vogliamo capire come fare per tutelare vitigni e Denominazioni storiche come Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi, che sono già molto conosciute all’estero, e questo provoca scetticismo tra i produttori. Ma molto spesso ci capita di vedere come la Campania come nome è ancora poco conosciuta, e il brand regionale può essere una strada e un valore aggiunto per tutte le eccellenze del food a 360 gradi, ma anche per valorizzare tutti i territori e non penalizzarne alcuni. Credo che il nostro grandissimo gap è che non ci sappiamo raccontare: un po’ paghiamo lo scotto di avere dei siti talmente noti all’estero che sono dei brand fortissimi, come Pompei, Sorrento e la Costiera Amalfitana, e avendo sempre vissuto di rendita su siti turistici che sono tra i più visitati al mondo, abbiamo raccontato poco i territori interni che sono comunque autentici e straordinari come l’Irpinia, che credo non essere da meno del Piemonte o della Toscana, che invece si sono sapute raccontare e hanno saputo attrarre visitatori e giornalisti, che è poi la cosa più importante: far venire le persone, e farle raccontare a loro volta. Ma ci stiamo lavorando”.
Così come il Parco Archeologico di Pompei, nella nuova gestione del patrimonio verde degli scavi, ha lavorato per cercare tra le aziende un partner privato che collabori al programma Azienda Agricola Pompei, per far crescere anche questo lato del Parco. Un progetto, “avviato da qualche anno, e che prevede la rigenerazione degli oltre 60 ettari di terreni agricoli abbandonati attorno alla città antica, con la viticoltura, l’olivicoltura, la cerealicoltura, l’ortofrutta, la zootecnia e la floricoltura - spiega, a WineNews, Paolo Mighetto, direttore dei lavori della gestione del verde del Parco Archeologico - e dove, attualmente, il vigneto comprende 1,7 ettari nella città antica, fino a qualche anno fa dati in concessione. Ma la concessione ci sembrava ormai superata, perché significava dare in affidamento un’area a qualcun altro e quasi liberarsene, mentre invece il Parco vuole occuparsene in prima persona. Per questo è stata trasformata in partenariato, cercando un partner tecnologicamente avanzato e sensibile ai nostri temi che sono il biologico, la biodiversità e la sostenibilità, e sul mix colturale. Perché adottiamo le tecniche di coltivazione antica che ci restituiscono lo studio dell’archeologia e i testi antichi di Plinio o Columella, e che raccontano come veniva allevata la vite a Pompei”.
“A partire dagli attuali ettari che saranno rigenerati, quest’anno nasceranno altri 1,5 ettari per arrivare a un totale di 5,8 ettari tra Pompei e gli altri siti del Parco come Stabiae, Oplontis, Boscoreale e Longola - prosegue Mighetto - nel Vivaio di Pompei, che è il centro di ricerca e il polo rigenerativo del programma Azienda Agricola, possono essere sperimentate anche le viti come faremo con le barbatelle di vitigni antichi della Georgia, per impostare un nuovo vigneto sperimentale all’interno del sito antico. Negli anni passati è già stata fatta una selezione di vitigni antichi, dal Piedirosso al Caprettone, dal Fiano al Coda di Volpe e al Greco di Tufo, attestati in queste zone fino all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e che ci permette di vinificare se possibile anche in purezza. Con questo nuovo programma, infatti, tutta la produzione di vino viene condotta all’interno del Parco, dal grappolo alla bottiglia, compresi anche l’affinamento e l’invecchiamento, che è la vera novità. Il sogno è di avere il vino che arriva dal vigneto della Casa Europa o del Foro Boario, come se fossero quasi dei Cru frutto di una “zonazione archeologica”. Tra qualche giorno, con la firma del decreto, comunicheremo l’azienda che si è aggiudicata l’appalto, festeggiando una nuova vendemmia alla Casa del Triclinio dove si svolge ogni anno la raccolta delle uve a Pompei. L’obiettivo è riattivare un territorio che fin dall’antichità era uno dei più fertili al mondo, e che continua ad esserlo”.
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