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DA CONSUMO DI NICCHIA A FENOMENO DI TENDENZA, CRESCE IN ITALIA IL “PARTITO” DEI NATURALISTI DEL VINO ... UNA “NOVITÀ RITROVATA” PER L’ENOLOGIA DEL BEL PAESE, VERO E PROPRIO CULT E MOVIMENTO IN TENDENZIALE CRESCITA, TRA PRODUTTORI ED ENOAPPASSIONATI

Italia
L’aappeal dei vini biodinamici sta crescendo rapidamente

Vi è capitato negli ultimi anni di pensare che tutti i vini si assomigliano? Che non esistono quasi più le differenze di annata? Che tanti, troppi vini siano senz’anima? Se la risposta è affermativa, i vini biodinamici potrebbero rappresentare la risposta a queste tre problematiche. Tanto che si può parlare davvero di “novità ritrovata” per l’enologia del Belpaese, come afferma il sito www.winenews.it, tra i più cliccati del mondo del vino sul web.
I vecchi contadini, che coltivassero la vite in Piemonte oppure in Sicilia, ponevano grande attenzione alle fasi della luna. Non sapevano niente né di biodinamica né di Rudolf Steiner, però la luna determinava il loro lavoro nel vigneto, e con un decotto d’ortica cospargevano le piante più deboli, mentre ai terreni era destinato il letame giusto, ben “stagionato”. Avevano imparato dai genitori, che avevano imparato dai nonni e così aveva sempre funzionato. I vini biodinamici sono, appunto, questo: una “novità ritrovata”, che rischia di diventare uno dei fenomeni più incisivi che contraddistinguono il mondo del vino attuale, semplicemente perché ottenuti a partire da principi di coltivazione e vinificazione del tutto antitetici a quelli che si sono imposti negli ultimi anni nella produzione di tutte le maggiori aziende del vino italiane e straniere. Anche di vini biodinamici e delle loro prospettive future si parlerà a Vinitaly (a Verona dal 3 al 7 aprile), uno degli eventi di riferimento dell’enologia mondiale.
Oggi questa particolare modalità produttiva è ormai un vero e proprio movimento, dal momento che centinaia di produttori di tutto il mondo l’hanno fatta propria e molti enoappassionati non possono resistere alla tentazione di provare un vino ottenuto non solo dalle componenti organiche e cicliche della Terra, ma anche tenendo conto delle fasi della luna e delle posizioni delle stelle.
Se da un lato, però, la biodinamica è, per alcuni, più simile ad una viticultura “voodoo” o ad una operazione di marketing, per altri non solo ha cambiato il modo di produrre il vino, ma anche il modo di vivere la vita. Nata negli anni Venti dalla dottrina del filosofo austriaco Rudolf Steiner, la biodinamica include l’idea di agricoltura biologica e invita a considerare come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa su di esso. Un modo di pensare radicalmente diverso, una disciplina e una filosofia, in cui l’influenza delle forze cosmiche gioca un ruolo non secondario per raggiungere lo scopo finale: un perfetto equilibrio fra pianta, terreno e universo.
Correttamente si parla di “vino ottenuto da uve da agricoltura biodinamica”, perché come per il “vino biologico” non esiste un protocollo che disciplini la fase della vinificazione. Ma sgombriamo da subito il campo da equivoci e chiariamo che l'agricoltura biodinamica è cosa ben diversa da quella biologica. Se vogliamo è un approccio ancor più radicale: un metodo che esige sistemi sostenibili, la cura delle risorse naturali dei processi vitali e il rispetto di tutto il creato per la produzione agricola. La differenza principale sta, oltre che nell’assoluta naturalità dei prodotti impiegati in campagna, soprattutto nelle pratiche di cantina, quasi inesistenti. Gli additivi chimici ed ogni altro prodotto di sintesi sono completamente soppiantati da tisane a base di erbe, somministrate alle viti in dosi omeopatiche. Ma ad aiutare le piante nel respingere le malattie ci pensano anche gli insetti. L’unica forma di concimazione concessa è quella organica (non sempre e non da tutti) e si lavora il terreno secondo metodi tradizionali (in alcuni casi con il cavallo e non con il trattore). Ogni successivo passaggio in cantina, una volta raccolte le uve, prevede unicamente l'uso di anidride solforosa, comunque in quantità ridotte al minimo (anche se non tutti i produttori biodinamici la impiegano). Di solito non vengono aggiunti lieviti, perché il mosto fermenta sui propri lieviti indigeni e il calendario lunare detta i tempi per i travasi e l’imbottigliamento. L’impiego di legno (barrique e/o botti grandi) è inteso come l’impiego di un elemento naturale, vivo. Una sorta di placenta nella quale prende vita un nuova creatura: l’uva nasce in vigna ma il vino è da considerarsi come prodotto di una trasformazione-creazione. Un’enologia, insomma, in cui viene praticata sistematicamente la riduzione al minimo degli interventi da parte dell’uomo lasciando che sia la natura, con tutti i rischi che questo comporta, a svolgere il più possibile il proprio corso.

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