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SCENARI

Dal climate change al calo dei consumi nelle nuove generazioni: quale sarà il futuro del vino

Nel suo nuovo libro, “Cher Pinard”, la giornalista e sommelier Sandrine Goeyvaerts traccia un’accurata analisi (e fa una profezia)
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Secondo Goeyvaerts torneremo a piccole produzioni rispettose dell’ambiente e delle persone

Dal cambiamento climatico che impatta sulla coltivazione dei vigneti alla riduzione dei consumi tra le giovani generazioni, dovuta anche all’elitarismo e alle difficoltà di accesso ad un mondo che appare troppo difficile per loro: nel suo nuovo libro, “Cher Pinard”, la giornalista, sommelier ed enotecaria belga Sandrine Goeyvaerts traccia le future tendenze del vino mondiale. Con una profezia: la produzione semi-industriale di vino è destinata progressivamente a scomparire, e presto dovremmo tornare a produzioni su scala ridotta, rispettose dell’ambiente e delle persone.
Tra le grandi questioni che il mondo del vino mondiale sta affrontando, e con le quali sempre più si confronterà nei prossimi anni, c’è la riduzione dei consumi da parte dei giovani. Secondo Goeyvaerts, che ha approfondito i contenuti del libro in un’intervista sul sito “Vinosphere”, esiste una profonda distanza tra le persone che sanno di vino (a partire dalla complessa terminologia) e quelle che non sanno, e si sentono intimidite. Nonostante la disponibilità di un gran numero di risorse online, nonostante la pubblicazione di numerosi libri didattici, il mondo del vino resta di difficile comprensione. Quindi forse si dovrebbe fare in modo da renderlo più accessibile a tutti, senza snobismi ed elitarismi. Il vino è una bevanda culturale che richiede apprendimento, ma va sfatato il mito secondo cui solo gli esperti possono berlo. Del resto i giovani hanno una conoscenza culturale gastronomica più ampia rispetto alle generazioni precedenti, e le nuove generazioni sono molto più aperte alla scoperta di prodotti, gusti, tipi di cucina e bevande diversi.
I giovani consumano meno dal punto di vista delle quantità, ma più qualitativamente. Per loro gli aspetti salutistici ed ambientali sono molto importanti: la denominazione conta poco, mentre un vino biologico rappresenta un riferimento. Non è quindi una questione di perdita o di mancato interesse al mondo del vino, ma piuttosto di fornire le informazioni giuste, nel modo giusto, sostiene Sandrine Goeyvaerts.
Per quanto riguarda le attuali spinte salutistiche il vino contiene alcol, per questo occorre trovare una strada tra cultura, piacere e moderazione. Il problema non è tanto il prodotto, ma l’eccesso che è dannoso. Abbiamo un dibattito simile sui solfiti, che hanno consentito la moderna rivoluzione enologica. Alcuni vini possono farne a meno, ma non tutti. Non vanno demonizzati, possiamo valutare di ridurre la dose al livello assolutamente necessario. E se possiamo farne a meno, tanto meglio.
Una delle previsioni che Sandrine Goeyvaerts fa nel suo libro è che il vino, come prodotto semi-industriale, è destinato al fallimento. Diventerà sempre più costoso produrre vino su larga scala, sia dal punto di vista ambientale che economico. È un’aberrazione - sostiene la scrittrice - voler mantenere il vino su una scala di produzione industriale e ritrovarsi con vigneti grondanti di fitoprodotti, magari irrigati. Ciò non è né fattibile né auspicabile. La soluzione del futuro è una produzione più ridotta, con meno sistematizzazione nella gestione del vigneto e un più forte attaccamento all’impronta locale. Il vino è fondamentalmente un prodotto agricolo, che beneficia di radici storiche e culturali. Ma se vogliamo produrre un vino virtuoso dovremo tornare alle origini, su una scala più piccola, più rurale e rispettosa della terra e delle persone.
Se vogliamo vigneti che siano ancora presenti e resistenti tra 20 o 50 anni, dobbiamo adattare i vitigni e i modi di lavorare, esplorando altre regioni. Dobbiamo anche ripensare il mercato. C’è una bella differenza tra i vini rossi da invecchiamento promossi dalla stampa, che nessuno compra più, e quelli che vengono venduti nei negozi e nei ristoranti, con una grande richiesta di vini bianchi secchi, rosati e frizzanti. Il Bordeaux è l’archetipo di un vino che veniva ancora venduto 20 o 30 anni fa, sostiene Sandrine Goeyvaerts. Passare tutti al bianco non è un’alternativa, ma possiamo lavorare su quali vini offrire: rossi più leggeri o rosati. Molti territori lo hanno già capito.

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