C’è il Fragolino, ottenuto dall’uva fragola, o americana, che pare fu importata per la prima volta da Cristoforo Colombo. Nell’epidemia di fillossera che colpì l’Italia nella seconda metà dell’Ottocento questa varietà fu usata come portainnesto per le viti europee, grazie alla sua straordinaria resistenza. Ma, finita l’emergenza, si cercò di evitare che questi vitigni, più semplici da coltivare, soppiantassero quelli europei, più complicati ma qualitativamente superiori. Così, nel 1931, una legge italiana vietò la vendita di vino Fragolino. Stessa origine per il Clinton, in arrivo dal Nuovo Continente: il suo utilizzo è stato vietato per la produzione di vino, che tuttora resiste in Veneto, in piccole osterie o per consumo familiare. Queste e altre varietà dichiarate illegali sono protagoniste del libro “Vini proibiti. Clinton, Fragolino, Bacò e gli altri vitigni ribelli”, di Michele Borgo e Angelo Costacurta (Kellermann Editore, novembre 2022, pp. 144, prezzo di copertina 16 euro), un interessante compendio in cui vengono ricostruite le storie dei vitigni che, soprattutto nei periodi di guerra, diventavano quasi alimenti per la sussistenza dato il loro basso grado alcolico, e che oggi stanno conoscendo un nuovo periodo di attenzione da parte degli appassionati. Attraverso indagini e studi biologici ed epidemiologici gli autori analizzano la situazione nata a partire dalla metà dell’Ottocento, quando l’avvento di tre avversità parassitarie della vite - oidio, fillossera e peronospora - ha cambiato la millenaria storia vitivinicola mondiale.
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