Quella dei Poderi Luigi Einaudi è una storia che merita di essere raccontata, tanto ricca da superare, in un certo senso, il prestigio dei suoi vini. Non siamo in un luogo qualunque, ma a Dogliani, nelle Langhe sud-occidentali, casa di Barolo e Barbaresco, alfieri del vino italiano nel mondo, dove, nel lontano 1897, Luigi Einaudi, all’epoca fresco di Laurea in Economia Politica, ad appena 23 anni decide di indebitarsi fino al collo per riacquistare le terre che, anni prima, la madre aveva dovuto vendere per pagare i suoi studi. Un coraggio che dicono molto di colui che, nel 1948, diventerà il primo Presidente della Repubblica d’Italia. Poderi Luigi Einaudi, oggi una delle griffe più rappresentative del Barolo, nel 2022 compie 125 anni, ma il filo della storia che lo lega al suo fondatore è più forte che mai, tenuto saldamente in mano da Matteo Sardagna Einaudi, quarta generazione alla guida dell’azienda, che, a WineNews, ne ripercorre la storia, fino ai giorni nostri, celebrati con un’etichetta d’artista del Barolo Monvigliero 2018 firmata dall’artista mantovano Stefano Arienti.
“Una storia lunga, difficile da riassumere, che ha vissute tre grosse fasi. La fase di Luigi Einaudi, il fondatore, e mio bisnonno, che comprò la terra che i genitori dovettero vendere per farlo studiare: era un ragazzo di talento, ma di famiglia povera. Per anni ricorda nei suoi scritti il dolore di essersi privati dell’unico vigneto, una cosa che gli rimase impressa. Era un’epoca, quella dopo il Risorgimento, in cui l’uomo e la terra erano un corpo unico: vivere in campagna e non avere la terra voleva dire essere figlio di nessuno. Con i primi soldi della tesi di laurea, a 23 anni, indebitandosi per 32 volte il suo stipendio, comprò la prima cascina, dove c’è la casa originaria, che era un vecchio convento diroccato, che rimise apposto nell’arco di una vita intera, ed oggi è ancora casa nostra, e accoglie ancora la sua biblioteca, perché la sua grande passione erano i libri e la terra”.
Solo dopo mezzo secolo arriva l’impegno in politica, “ma Luigi Einaudi era un professore ed un giornalista, portato alla politica suo malgrado, non voleva neanche farlo il Presidente della Repubblica, tanto che aveva votato “Monarchia” al referendum”, ricorda il pronipote, Matteo Sardagna. “La terra, invece, per lui era imprescindibile, era il posto dove far prosperare la famiglia, con il podere al centro. Il vino viene dopo, in quanto espressione di questa terra, ma non si perse mai una vendemmia, neanche quando era Presidente. Un rapporto, quello con il vino, reso celebre da una vignetta satirica di Guareschi, che ritraeva Luigi Einaudi circondato da corazzieri che erano in realtà bottiglie di Barolo. Guareschi, accusato di vilipendio, finì addirittura in galera”.
Quando, nel 1961, Luigi Einaudi muore, lontano dalla sua amata terra, nella Roma della politica e del Governo, “ci fu un’epoca di abbandono, fino a quando mio nonno Roberto, il figlio di mezzo, molto legato a questo territorio nonostante una vita imprenditoriale di successo in giro per il mondo, prese in mano le redini dell’azienda. È lui ad avermi trasmesso l’amore per questa terra, cresciuto in anni di passeggiate alle prime luci dell’alba. Scomparso lui, a cui ero molto legato, come nonno e come pezzo del Novecento, che aveva ricomprato l’azienda, è arrivato il turno di mia madre. Io nel frattempo facevo l’architetto, ma ero già innamorato di questo posto, a cui mi sono avvicinato fino ad innamorarmene. Quando mia madre è mancata, nel 2010, è diventata una cosa mia, e allora l’ho fatta sempre più mia, fino ad arrivare ad oggi, con un’identità ben precisa e delle idee forti che la sostengono. Non è stato facile, perché la campagna porta anche grandi malinconie. L’illuminazione arriva nel 2016, quando ho iniziato a fare il vino che volevo io, ed oggi sono molto felice della strada che abbiamo preso”, continua Matteo Sardagna.
125 anni alle spalle, ma anche un futuro tutto da scrivere, “con la volontà di trasmettere tutto questo ai miei figli, perché c’è una storia da raccogliere e tramandare, ed il loro amore per questa terra è già un primo successo. Di progetti ce ne sono tantissimi, voglio fare un altro Barbaresco ed un altro Barolo, già dal prossimo anno, e poi vorrei allargare l’albergo diffuso, a partire da Torino, dove abbiamo un piccolo palazzo, passando per Barolo, dove abbiamo una cascina, arrivando qui a Dogliani, dove l’albergo è già operativo, e forse in Liguria, per un percorso del “mondo Einaudi”, che faccia ripercorrere al turista una sorta di itinerario di famiglia”. Intanto, per i 125 anni della Poderi Einaudi è arrivata la collaborazione con l’artista mantovano (ma di livello internazionale, ndr) Stefano Arienti, che ha “vestito” il nuovo cru del Barolo Monvigliero, e che nasce dal mio amore per l’arte e per il collezionismo. Ho comprato le sue opere ormai diversi anni fa, ma ha giocato un ruolo importante un mio amico grafico, amico anche di Arienti, che ama la natura ed ha studiato agraria, e da lì è stato tutto naturale. All’inizio il cavallo stilizzato su una colonna che ha disegnato mi ha spiazzato, ma poi mi è entrato nel cuore: è un omaggio a Mantova, la sua città, che amo molto anche io, e al grande architetto del Cinquecento Giulio Romano, in un parallelismo con il vino e l’eleganza del Barolo Monvigliero, in equilibrio come il cavallo sulla colonna. Che, ormai, mi è entrato talmente nel cuore che mi piacerebbe averne una enorme copia tra i filari ...”, conclude il pronipote del primo Presidente della Repubblica Italiana.
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