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DALLA CAMPAGNA ALLA TAVOLA PER UNA SPESA SANA, CONVENIENTE E SOSTENIBILE: ANCI-RES TIPICA PROPONE UNA “RETE ITALIANA DEI MERCATI” SUL MODELLO DI QUELLA EUROPEA

Un risparmio sulla spesa agroalimentare di circa il 30%. La certezza di consumare olio, pane, vino e ortaggi prodotti in Italia e di alta qualità. Un rapporto diretto tra produttore e consumatore che elimina i costi delle intermediazioni e sostiene l’economia rurale. Un impatto positivo sull’ambiente e un’occasione per riscoprire il ricco patrimonio delle identità alimentari italiane. Sono i vantaggi garantiti dai mercati contadini, i nuovi spazi dedicati alla vendita diretta dei prodotti agricoli, che si stanno diffondendo anche in Italia. Anci e Res Tipica - l’Associazione costituita dall’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) insieme alle Associazioni Nazionali delle Città di Identità per la promozione del “tipico” italiano - che sull’esempio della Rete Europea dei Mercati cui hanno già aderito Torino, Barcellona, Budapest e Lione, puntano a realizzare una “Rete Italiana dei Mercati”, con l’obiettivo di affermare il valore di questo canale distributivo, l’unico in grado di garantire al 100% l’origine dei prodotti agroalimentari.
Oggi sono circa 200 i mercati del contadino già attivi in Italia e tra questi sono oltre 50 i “mercati delle identità”, ovvero i mercati contadini sostenuti da Anci-Res Tipica che offrono non solo prodotti di qualità, ma anche servizi culturali legati all’arte e alla tradizione enogastronomica del territorio: degustazioni, lezioni di cucina, corsi di educazione alimentare, momenti di informazione e formazione sui saperi rurali. Circa la metà dei mercati contadini della rete Res Tipica hanno cadenza mensile, il 45% ha cadenza settimanale, gli altri sono quotidiani. 7 mercati su 10 si svolgono nel week-end e fungono da potente veicolo di attrazione turistica e di valorizzazione del territorio. Le regioni che registrano la più alta concentrazione di farmers market sono l’Emilia Romagna, la Toscana, il Piemonte e la Lombardia.
“L’impegno di Anci e Res Tipica - ha affermato Pierciro Galeone, amministratore delegato Res Tipica-In Comune - è quello di aiutare le amministrazioni locali a realizzare questi mercati e a realizzarli bene. I farmers market devono diventare non solo luoghi di vendita diretta che consentano al consumatore di risparmiare e al produttore di avere un ricavo giusto, grazie all’eliminazione delle intermediazioni commerciali, ma anche occasioni per avvicinare i cittadini alla cultura rurale locale, garantendole valorizzazione e, di conseguenza, futuro”. Nel 2007 la realizzazione sul territorio di mercati dei produttori agricoli è stata prevista da un apposito Decreto del Ministero delle Politiche Agricole che, come ha spiegato Riccardo Deserti, direttore Generale Sviluppo Agroalimentare Qualità Tutela del consumatore del Ministero delle Politiche Agricole, “ha identificato i tratti caratteristici dei mercati contadini: una nuova forma di vendita diretta, fondata sull’identità agricola e quindi sulla possibilità per i produttori di informare direttamente i consumatori sull’origine dei prodotti, che sia megafono per il territorio. Non abbiamo voluto fornire una classificazione rigida, bensì creare uno strumento per accompagnare la crescita spontanea dei mercati contadini e così dare gambe al loro sviluppo”.
Il numero delle aziende che scelgono la vendita diretta è in continua crescita: nel 2007 sono state oltre 57.000, con un aumento del 48% rispetto al 2001 e un fatturato di 2,5 miliardi di euro. I prodotti più venduti sono frutta e verdura (con il 28% del totale e 15.940 aziende), il vino (37% e 21.400 aziende), l’olio (20% e 11.250 aziende), i formaggi (11% per cento e 6.250 aziende), le carni e i salumi (8% e 4.680 aziende) e il miele (3% e 1.940 aziende).
“Nell’epoca del mercato globale - ha dichiarato Ignazio Garau dell’Associazione Anci-Res Tipica - il mercato con la “m” minuscola ritorna protagonista perché risponde a cinque bisogni di oggi: la riorganizzazione delle filiere distributive, che oggi assorbono l’80% del prezzo finale dei prodotti; la ricostruzione dei circuiti economici locali, che hanno visto sparire numerose produzioni perché non redditizie; la ricostruzione di un rapporto più stretto tra produzione e consumo, tra città e campagna; la convenienza e la valorizzazione delle identità territoriali”.

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