Dalla sogliola al ferro da stiro alle uova di pavoncella, dalle allodole nel loro nido allo yogurt come rimedio per la sbornia, come in una “stanza delle meraviglie enogastronomiche”, ottanta schede-racconto riportano in vita cibi, ricette e pratiche di cucina del Novecento, apparentemente scomparsi e dimenticati, attinti, come da un negozio di antiquariato, dalle fonti più varie, tra ricettari iconici della cucina italiana e saggi contemporanei, ma anche canzoni di Guccini. Nasce così il “Piccolo atlante dei cibi perduti” firmato da Alberto Capatti, uno dei più autorevoli storici della gastronomia italiana, in libreria dal 9 marzo con Slow Food Editore, per dare continuità alla storia gastronomica italiana.
Nel “Piccolo atlante dei cibi perduti” (Slow Food Editore, 2022, pp. 192, prezzo di copertina 16,50 euro), Alberto Capatti raccoglie 80 schede-racconto che spaziano dall’acqua (e dal modo in cui viene pesata nelle ricette) fino a “ricette meteore” e bizzarre preparazioni come la sogliola al ferro da stiro, risalente solo al 2005. Le schede si susseguono in rigoroso ordine alfabetico, raccogliendo cibi oggi imprevedibili, dalle varianti infinite, capaci di rispondere a un bisogno passato, con ingredienti non usuali o nomi curiosamente seducenti, che attirano l’attenzione perché misteriosi come “bighelloni, broccioli e brustulli”, o perché esageratamente fantasiosi come le uova di pavoncella, suggerite per una cena galante in un ricettario afrodisiaco del 1910.
Ma la cucina dimenticata delle nonne, con ricettari di grande fortuna editoriale, ha innescato un meccanismo che può fare di un ingrediente perduto un ingrediente di grande successo. A loro Capatti riserva la seconda parte del volume, analizzando i libri che le citano nel titolo e che, di fatto, le hanno consacrate ad anima autentica della cucina di tradizione italiana e custodi imperiture di piatti altrimenti mai consegnati alla memoria.
Con questa minuziosa quanto intrigante ricerca, Alberto Capatti vuole offrire uno spiraglio, una prospettiva che permetta al lettore di intuire non soltanto cosa siamo stati, ma cosa siamo e soprattutto cosa saremo, a partire, ancora una volta, da quello che mangiamo.
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